La transizione verde europea, con l’aumento del prezzo della CO2 prodotta e quello del gas a livello internazionale, finisce per fare gli interessi di alcuni privati e fustigare i lavoratori.

Con un 20% nello scorso trimestre, che toccherà i 40% nel secondo, l’UE ha mosso i suoi primi passi verso la cosiddetta “transizione ecologica”. Meglio ovviamente sarebbe definirla “ideologica”: la maggior parte di questo piano, infatti, fustiga chi non si può permettere gas, corrente o automobili di una certa categoria.
A sfregarsi vigorosamente le mani sono non solo i fornitori privati che potranno avere l’occasione d’oro di alzare il tariffario, ma anche tutte quelle aziende nord europee che da anni aspettavano l’occasione giusta per affossare definitivamente il settore energetico del sud Europa e della sfera mediterranea. La trasformazione progressiva ed altamente imperialista, insomma, di intere regioni geografiche in comodi bacini di consumo.
A presentare delle perplessità, se non delle aperte critiche, eravamo stati noi del SOCIT al primo annuncio del Green New Deal in salsa europea, ultimamente però non si sono fatte attendere voci anche diverse: il Ministro per la Transizione Ecologica Cingolani ha espresso un timore fondato della minaccia che tali rincari rappresentino per le tasche dei cittadini meno abbienti; il segretario del Partito Comunista Rizzo ha invece sottolineato la vena costante di conferimento di potere ai privati che pervade questa fase repubblicana così come l’Unione in sè.
Non possiamo che condividere il timore e le perplessità di entrambi. Resta da vedere quale approccio prendere come popolo nella risoluzione di questo pernicioso ostacolo.
Come al solito, si dimostra che la via del socialismo è fuori dall’Unione Europea.
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