La ferrea linea del socialismo italico in campo di multinazionali.
Governo e multinazionali hanno un rapporto strano, come avrete sicuramente notato. I membri del governo cercano sempre di lisciare il pelo accuratamente e in modo abbastanza, lasciatemelo dire, viscido dei vari CEO o delegati.
Le tasse, insomma, aumentano per tutti tranne che per loro. Il 15% della minimum tax non è sufficiente, quanto non fissa un reale parametro di controllo contro l’oligopolio di ricchezza.
Le piccole e medie attività devono pagare in un certo modo i propri lavoratori, mentre un CEO da cognome peculiare può venire qui ad imporre condizioni scarne a piacimento.
Perché? Hanno paura che la multinazionale delocalizzi lo stabilimento.
Io rispondo che se prova a farlo, ci perde stabilimento e mezzi di produzione. I socialisti nostrani su questo erano ferrei, De Ambris infatti prevedeva un sapiente uso di esproprio (durante la fase di transizione al modello sindacalista) per tenere a bada i bollenti spiriti di chi si diletta ad estrarre sangue dalla rapa.
È palese che in una fase di sindacalizzazione economica, le multinazionali semplicemente cessano di esistere sul nostro territorio. Perciò è semplicemente una velocizzazione dell’inevitabile processo di rivoluzione economica.
Senza considerare che costerebbe meno, al posto di “scivoli” e buone uscite, al contribuente. Facendo in modo che i lavoratori possano mantenere la loro attività fino ad esaurimento scorte, per poi essere reintegrati tramite assunzione.
Ma sappiamo, sotto sotto, il perché i governi trattino. Pecunia non olet.