Di Fabian

Quando si ragiona in termini internazionali è fondamentale comprendere la natura degli Stati presi in esame, onde evitare la puerile mistificazione che vede l’attuale conflitto nascente nel Donbass come una nuova “guerra fra stati imperialistici”, commettendo dunque l’errore di omologare la nascente crisi a scontri come la prima guerra mondiale.
La Russia è uno stato imperialista al pari degli Stati Uniti? e, di conseguenza, è corretto assumere un comportamento super partes?
Cominciamo dal principio: come e perché il conflitto in Ucrania è precipitato rapidamente, apparentemente come un fulmine a ciel sereno?

La rapida espansione della NATO attorno a Russia e paesi allineati è stato un fenomeno decisivo all’aumento delle tensioni, taciuto spesso dagli organi di informazione. Foto AtlanticCouncil.

Ripercorriamo velocemente alcuni avvenimenti storici.
Nel Novembre del 2013 ebbero luogo le ormai famose manifestazioni “Euromaidan”, scoppiate dopo la marcia indietro del governo ucraino verso un processo di maggiore integrazione economica con l’Unione Europea.
Le proteste videro schierarsi da una parte il governo ucraino, vicino alla Russia, e numerosi partiti socialisti (ivi compreso il Partito Comunista Ucraino); dall’altra primariamente gruppi europeisti e numerose organizzazione neonaziste e di estrema destra.
Le proteste, iniziate certamente con fini nobili nei confronti di un regime oligarchico e repressivo, ebbero come conseguenza la deposizione del presidente filorusso Janukovyč, l’instaurazione di un governo filo-occidentale e, sopresa! la messa al bando del Partito Comunista e la distruzione dei monumenti sovietici, sostituiti spesso con effigi elogiative di collaborazionisti nazisti, non male per una rivoluzione “democratica”!
Di particolare importanza ebbe poi la Strage di Odessa, un vero e proprio omicidio di massa organizzato da vari gruppi neonazisti contro i manifestanti filorussi e anti-europeisti, che portò alla morte di quasi 50 persone (di cui molte bruciate vive) e al ferimento di oltre 150 manifestanti.
Nessun processo è mai stato svolto contro i responsabili della strage.

Foto propagandistica del Battaglione Azov, gli strani alleati dell’Europa democratica. Foto ANSA.

Le conseguenze della rivoluzione colorata si fecero sentire e presto iniziarono a fermentare volizioni indipendentiste: la Crimea proclamò un referendum per l’indipendenza, con una vittoria schiacciante (seppur contestata da gran parte della “comunità internazionale” occidentale), seguì poco dopo l’adesione della penisola alla Federazione Russa.
Analoga la situazione in Donbass con le Repubbliche di Donetsk e Lugansk, nelle quali si tenne un altro referendum (anch’esso contestato), a cui seguì una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte delle due repubbliche.
Il conflitto degenerò rapidamente e il governo ucraino optò per il ritorno all’ordine attraverso le armi nelle zone dichiarate indipendenti dagli insorti.
Sorvoliamo sui particolari del conflitto e arriviamo agli accordi di Minsk, con i quali si decretò un cessate il fuoco (sebbene non del tutto rispettato da entrambe le parti) e il riconoscimento da parte del governo ucraino di una maggiore autonomia delle due repubbliche separatiste.

Aree delle due repubbliche separatiste. Foto BBC.

Giungiamo dunque al vivo della crisi odierna: negli ultimi mesi le intenzioni da parte del governo ucraino per una richiesta di ingresso nella NATO si sono fatte sempre più vive, mentre negli scorsi giorni il ravvivarsi delle tensioni nel Donbass ha costretto gran parte della popolazione civile locale ad un esodo di massa verso la Russia.
Il 22 Febbraio 2022 Putin ha riconosciuto le due repubbliche separatiste nello sdegno della comunità internazionale (leggasi “occidentale”), la stessa che, fra l’altro, riconobbe l’indipendenza della Slovenia e della Croazia negli anni 90′ (evidentemente la sovranità nazionale è sacra solo alla luce di malcelati interessi economici e geopolitici).
Il 23 Febbraio Donetsk e Lugansk hanno richiesto il supporto militare della Russia al fine di respingere le truppe ucraine, e il 24 mattina l’attacco russo è cominciato, con l’intenzione dichiarata di “denazificare e smilitarizzare” il prima possibile lo Stato ucraino e di bloccare in questo modo le manovre espansive della NATO verso i confini russi.
La Russia ha anche parlato di “genocidio” da parte del regime di Kiev, e in gran parte i fatti le danno ragione, siccome da anni il governo ucraino porta avanti una politica di profonda avversione e lotta alle minoranze di lingua russa.


Situazione ancora peggiore per quanto riguarda la popolazione del Donbass, spesso bersaglio diretto dei bombardamenti ucraini da
ormai otto anni (la mattina del 25 una bomba ucraina ha colpito una scuola uccidendo due insegnanti).
Nel momento in cui scrivo, per quanto le notizie provenienti dal fronte possano essere discordanti, la Russia ha sbaragliato la flotta
ucraina e le forze armate ucraine, e gran parte dell’esercito ucraino si sta arrendendo all’avanzata russa opponendo ben poca
resistenza, mentre nelle ultime ore pare il governo ucraino stia cercando di armare la popolazione civile; piccolo revival della
Battaglia di Berlino o della Kampuchea Democratica? Fatto sta che qualsiasi azione mirante a coinvolgere i civili dovrebbe essere
risolutamente condannata, indipendentemente dallo schieramento responsabile, e armare civili non preparati condannandoli a morte
certa dovrebbe essere considerato un crimine di guerra a tutti gli effetti.
Come potrebbe evolvere la situazione nei prossimi giorni e, guardando più lontano, anni?


I possibili scenari sono molteplici, e purtroppo il rapido evolvere degli eventi certo non permette alcuna certezza; nel breve termine gli
obiettivi della Russia sono la già citata demilitarizzazione dell’Ucrania e la riduzione del regime filo-occidentale a stato cuscinetto fra
gli imperialisti occidentali e la Russia, mentre volontà di annessione sono de facto da escludere a priori.
Nei prossimi anni certamente vedremo un ancora più rapido delinearsi della fine della politica unipolare diretta da Washington, il quale
si ritroverà inevitabilmente sempre con una minore possibilità d’azione al fine di garantire i propri interessi imperialistici in Europa.
La decadenza dell’impero americano potrebbe verosimilmente condurre all’emancipazione dell’Unione Europea a nuova potenza
imperialista non più gerarchicamente secondaria rispetto agli Stati Uniti, possibilmente attraverso una Federazione Europea che
sappia difendere i propri interessi economici con una maggiore autonomia nei confronti degli USA.

I più o meno silenziosi protagonisti della vicenda: i politici a capo della federazione. Foto Rmf24.


Terminato l’excursus sulle origini del conflitto ucraino torniamo ora alla natura dello Stato Russo: la Russia odierna è, dal punto di
vista economico, considerabile un paese imperialista?
Dal punto di vista leninista l’imperialismo è una forma di capitalismo monopolistico giunto ad un determinato livello di sviluppo
economico, una categorizzazione difficilmente applicabile alla Russia.
L’economia russa è sostanzialmente una forma di capitalismo burocratico relativamente poco sviluppato, retto primariamente su
società registrate in paradisi fiscali, dove i monopoli seppur presenti sono scarsamente influenti a livello internazionale, il settore
industriale è concentrato su settori profittevoli nell’immediato ma con scarse possibilità di sviluppo, l’esportazione di capitale è
presente ma quella di merci riguarda in ogni caso prodotti di origine estrattiva e non ad alta tecnologia.

Insomma, la Russia odierna non sembrerebbe rispettare i canoni di un’economia capitalistica sviluppata.


D’altro canto la Russia è un paese post-socialista, e in quanto tale porta inevitabilmente in sé elementi, seppur deturpati e sfigurati,
del passato, come l’ampio controllo statale sull’economia o la vicinanza geopolitica con paesi marxisti-leninisti o anti-imperialisti.
Questo non rende la Russia un paese anti-imperialista tout court, quanto più un paese che, nell’attuale contesto geopolitico, necessita
di appoggiarsi a paesi anti-imperialisti in senso stretto, come la RPDC, Cuba, l’Iran, la Siria e, seppur contestato, la Cina.


La Russia è dunque considerabile un paese della periferia, non parte integrante del polo imperialistico, e vicino in politica estera a
paesi in lotta contro l’egemonismo euro-atlantico.
Supportare la Russia in questo determinato contesto, non certo in senso assoluto, in quanto pur sempre paese capitalistico, se non
con tratti propriamente dittatoriali, è dunque fondamentale, in quanto la contraddizione principale del nostro secolo è l’imperialismo, e
ne consegue dunque che la necessità di un fronte anti-imperialista e anti-statunitense mondiale è assolutamente prioritaria.
La Russia non combatte ora certo per valori “socialisti”, ma combatte in quanto accerchiata dalle manovre degli imperialisti e
confinante con uno stato, con tratti para-nazisti, facilmente utilizzabile dall’Occidente come trampolino di lancio per legare
ulteriormente il cappio al collo del paese asiatico; riconoscere la natura anti-democratica russa non ci vieta certamente di
riconoscere altresì il ruolo progressista della politica estera russa in opposizione alla politica aggressiva delle dittature borghesi
europee.


L’ignavia rappresenta in questo momento storico un grave errore di analisi geopolitica: il mondo è ufficialmente diviso in due blocchi, e
i paesi socialisti appartengono ad uno dei due, non ci sono nel momento attuale grandi alternative percorribili se non la definitiva
condanna all’irrilevanza politica.

error: Contenuto protetto, è possibile fare richiesta per uso a info@socialismoitalico.it