
«Pane, sì, ma anche idee, anche educazione. Bisogni fisiologici, ma anche spirituali, culturali. Il proletariato non è classe finché non ha una coscienza di classe, e questa non si acquista finché l’organizzazione non allargherà i suoi orizzonti di lotta e non combatterà altre battaglie oltre quella del salario e dell’orario. E noi vogliamo, dall’alto di questa libera tribuna, illuminare le nuove vie della marcia proletaria.» (Vincenzo d’Orio e Luca Lezzi, Filippo Corridoni – La vita e le idee dell’Arcangelo Sindacalista, pag. 44-45).
Queste le parole di Filippo Corridoni scritte nel giornale “L’Avanguardia” dell’Unione Sindacale Milanese (figlia dell’USI), dopo essere uscito dal carcere di San Vittore per la decima volta, con in tasca – e nel petto – la svolta interventista, già maturata e conclamata. Discorso, questo, che nella sua apparente semplicità è – in realtà – intriso di determinazione e audacia per il proseguimento della lotta proletaria, come l’animo irrefrenabile e instancabile – di “Pippo”, il “Tribuno della Plebe” di tutta una generazione di proletari e di giovani, guida indomabile a capo di una missione che per lui fu sacrificio, repressione, angoscia ma sempre motivo di lotta e speranza per un avvenire infervorato di giustizia per il lavoro e il popolo
lavoratore. L’attuale palcoscenico italiano – politico e morale -, dimentico della lotta come mezzo di liberazione dall’oppressione, soprattutto da parte giovanile e proletaria, dovrebbe riscoprire gli echi profetici e gli appelli sinceri e gagliardi di una figura che fu ispirazione e speme di ribalta,
lavoratore e saggio pensatore, rivoluzionario e soldato, realista e romantico, eroe e mito del suo tempo.
Pertanto, è doveroso, per chi lotta quest’oggi sotto la stessa bandiera di allora, tentare di
rinfrancare gli animi assopiti di questa terra, annichilita nel profondo dal marciume borghese in tutte le sue salse, attraverso la riscoperta degli eroi che animarono l’antica – ma sempre presente, e pronta a tutte le battaglie – fiamma proletaria e sindacalista, riportando alle menti il fulgido esempio – di vita e di idee – di un uomo che fu «vero apostolo del proletariato italiano», che visse in «nobile e francescana povertà» e che «senza un soldo , senza una valigia giungeva qua e là nelle città d’Italia e agli amici chiedeva una cosa sola: il suo posto di battaglia.» (Ibidem, pag. 25)