Di Fabian

Il problema della comprensione del rapporto fra il Partito e il Sindacato diviene ora, con l’imminente
fondazione di un nostro Sindacato, di grande importanza e interesse.


Il SOCIT non fa mistero delle proprie rivendicate origini sindacaliste, seppure se ne distacchi in un
certo senso a livello pratico, riuscendo a conciliare siffatta eredità alla nuova situazione concreta del
socialismo, che richiede una centralità politica che l’esclusivismo economico del sindacalismo
rivoluzionario pose in secondo piano.
Per i marxisti l’organizzazione sindacale è la prima fase dell’organizzazione di classe del proletariato,
«in questa lotta – vera guerra civile – si riuniscono e si sviluppano tutti gli elementi necessari a una
battaglia imminente. Una volta giunta a questo punto, l’associazione acquista un carattere politico»
[Marx], e il carattere politico non può che manifestarsi nel partito, «affinché il proletariato sia
sufficientemente forte per vincere, al momento decisivo, bisogna […] che costituisca un proprio partito,
distinto da tutti gli altri, un partito di classe cosciente di essere tale» [Engels].


In un certo senso Partito e Sindacato rappresentano due forze parallele, lotta politica ed economica, due
momenti del processo d’emancipazione del proletariato.


Il sindacato senza il Partito di classe è come un sordomuto alla guida di un armata, è impossibilitato a
portare la lotta al di sopra e al di là dell’orizzonte borghese, della lotta per il pane, per i diritti sociali; il
Partito è il faro che guida la lotta per il potere politico, per la dittatura di classe.
In un certo senso il Partito è concepibile senza il Sindacato, ma dal Sindacato esso può trarre le sue forze
e organizzare la sua armata del lavoro.
Fu la stessa Prima internazionale a dotarsi di un apparato sindacale, come ricordato da Bravo nel suo
studio sulla Prima Internazionale: «Il sindacato «nuovo» […] nacque come marxista e internazionalista e
fu concepito come organo parallelo al partito, di cui tuttavia riconosceva il carattere d’«avanguardia» […]
i sindacati furono concepiti come forza autonoma rispetto al partito ma con collegamenti -non solo
personali- con esso, conformemente all’opinione di Marx».
Come asserì Bebel, «[nel sindacato] le masse pervengono alla coscienza di classe, apprendono a condurre
la lotta contro la potenza del capitale, ed esso, seguendo una linea naturale, senza intervento esterno, fa
diventare i lavoratori socialisti».


Ma se il Sindacato può arruolare fra le sue file le leve dell’esercito di classe, solo il Partito può esserne il
Generale. Per Lenin il sindacalismo non fa altro che afferrare «un solo lato del movimento operaio», elevando «l’unilateralità a teoria».
Se il sindacato esiste in funzione della lotta economica, essa non può prendere il posto della
lotta politica, che è contemporaneamente politica ed economica.
Solo mediante la dittatura di classe è possibile realizzare la liberazione delle forze economiche
latenti e languenti sotto il dominio della sovrastruttura borghese.
Ma fu anche Gramsci, con la sua solita dirompente eloquenza tagliente come «la spada di un giustiziere»
a metterci in guardia sui pericoli della preminenza del sindacato: «I sindacati hanno dimostrato la loro
organica incapacità a incarnare la dittatura proletaria. Lo sviluppo normale del sindacato è segnato da
una linea di decadenza dello spirito rivoluzionario delle masse: aumenta la forza materiale, illanguidisce o
svanisce del tutto lo spirito di conquista, si fiacca lo slancio vitale, all’intransigenza eroica succede la
pratica dell’opportunismo, la pratica «del pane e del burro»».


Un esempio pratico di antagonismo fra Partito e Sindacato lo possiamo ritrovare nella Cina popolare,
dove i due momenti del processo storico dell’organizzazione proletaria si trovarono dapprima in uno
scontro latente, fino a quello aperto durante la Rivoluzione Culturale, con lo smantellamento della FNSC.
La prima crisi nacque nel 1951, allorquando le necessità di ripresa della produzione spinsero i sindacati ad
una politica apertamente anti-lavoratrice: la sconfitta dei nazionalisti aveva difatti liberato le mani degli
operai, che ora, consci del sostegno governativo, potevano finalmente far valere le proprie pretese
contro il padronato; ciò provocò nell’immediato una battuta d’arresto della produzione, a cui il sindacato
rispose con una politica “burocratica” che costrinse il Partito ad una severa rettifica, e al primo tentativo
d’affrancamento del sindacato dal Partito incarnata nell’azione politica di Li Lisan.
La seconda crisi sopraggiunse nel ‘57, quando un’ondata di scioperi seguì una fallimentare riforma del
sistema salariale, e la discussione che ne seguì nell’ambito della Campagna dei Cento Fiori spinse i toni
oltre l’accettabile, con la proposta di alti dirigenti sindacali come Gao Yuan di prendere le armi contro il
PCC, se necessario.
Il sostegno alle manifestazioni studentesche di Piazza Tienanmen da parte della FNSC fu l’ultimo grande
contrasto fra il Partito e il Sindacato nella Repubblica Popolare.


La Storia insegna dunque che la mancata attività coordinata fra il Partito e il Sindacato è un serio pericolo
in quella terribile e meravigliosa lotta che è la costruzione del socialismo.
Il Sindacato, per la sua stessa essenza, vive nel momento attuale, trova difficile sacrificare il benessere
immediato sull’altare dei compiti futuri; viceversa il Partito è lungimirante, pronto a rinunciare al “tutto
subito” in favore delle sfide sovraumane della costruzione futura.
Per questo è necessario, nella costruzione del socialismo, cercare la massima convergenza d’azione fra il
Partito e il Sindacato, fra il potere politico e quello economico, affinché lo scontro fra i momenti dello
sviluppo non si trasformi in un frontale, piuttosto che in uno sviluppo dialettico.

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