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Di Jean-Claude Martini

Il primo settembre appena trascorso ha segnato il 55° anniversario della Rivoluzione della Riconquista (“Al-Fatah”), con la quale la Libia conquistò, per la prima volta nella sua storia, l’indipendenza e la sovranità complete; di lì a poco verranno infatti espropriati e rimpatriati i coloni superstiti italiani arricchitisi con la dominazione fascista e l’11 giugno 1970 verranno espulsi i soldati americani dal Paese, insediatisi a seguito della Seconda guerra mondiale con la complicità del corrotto re Idris, detronizzato proprio con l’insurrezione del 1 settembre 1969.

Esproprio, sì, perché il dirigente supremo di quella rivoluzione, Muammar Al-Gheddafi (1942-2011), pur non essendo mai stato un marxista, si ispirava comunque ai principi del socialismo rivoluzionario e dalla teoria di Marx ed Engels ha tratto molte ricette economiche che costituiranno la seconda parte del suo Libro Verde, pubblicato a metà anni ’70.

Uscito originariamente in tre piccoli libretti, titolati rispettivamente «La soluzione del problema della democrazia: il potere del popolo», «Soluzione del problema economico: il socialismo» e «Base sociale della Terza Teoria Universale», furono poi uniti sotto un’unica copertina e sistematicamente presentati e diffusi al grande pubblico mondiale durante i decenni successivi. Il Libro Verde è infatti il testo di riferimento del suo pensiero, appunto la Terza Teoria Universale, così chiamata per segnare un distacco, ma anche una continuità, con le prime due “teorie universali”, ovverosia quella capitalista e quella comunista. Pur essendo stata, la Libia da egli diretta, un’alleata di ferro dell’URSS durante la Guerra Fredda, Gheddafi rimproverava alla teoria e alla prassi comuniste di non aver sostanzialmente segnato una rottura col capitalismo, sostituendo alla vecchia classe dei padroni lo Stato socialista, lasciando inalterato, però, lo sfruttamento ai danni della classe lavoratrice. Senza dilungarsi sulle ragioni e i torti di queste tesi, è da rilevare che egli contrappose a questo stato di cose un sistema di democrazia diretta “pura” che superava persino l’originale greco in quanto non si suddivideva la popolazione per censo ma ognuno partecipava agli affari dello Stato senza alcuna intermediazione: niente elezioni, niente partiti, neppure referendum, che nel Libro Verde sono descritti come «una frode contro la democrazia» in quanto alle persone «è permesso dire una parola soltanto: “Sì” o “No”».

L’intera popolazione viene dunque ripartita in congressi popolari di base per professione, e ognuno di questi congressi sceglie la propria segreteria. Le varie segreterie tutte insieme compongono dei congressi popolari di livello superiore e i congressi popolari di base collettivamente danno vita a dei comitati popolari che sostituiscono l’amministrazione governativa e rispondono direttamente ai congressi popolari di base, che dettano loro la politica da seguire e ne controllano l’attuazione. I direttivi dei congressi popolari e dei comitati popolari formano il Congresso Generale del Popolo, che si riunisce una volta all’anno per deliberare i problemi emersi nei dibattiti dei primi e dei secondi, i quali ne vengono immediatamente informati per la messa in atto della sintesi finale. Questa, secondo Gheddafi, è la struttura per ogni reale democrazia, e ha quindi valenza universale.

«La rappresentanza è un’impostura», «Non esiste democrazia senza congressi popolari» e «Comitati popolari in ogni luogo»: queste le parole d’ordine che lanciò nel Libro Verde e a cui si attenne per tutta la vita.

«La democrazia ha un solo metodo ed una sola teoria. Le differenze e le divergenze tra i sistemi che si pretendono democratici sono la prova che essi non sono democratici. Il potere popolare non ha che un volto solo e non può essere realizzato se non in un unico modo; vale a dire tramite i congressi popolari ed i comitati popolari»1.

La Jamahiriya Araba Popolare Socialista, dal 1986 Grande Jamahiriya Araba Popolare Socialista, funzionava esattamente così. Si stima che alla sua caduta, nel 2011, circa 600.000 libici fossero inquadrati in questo sistema.

Essa nacque ufficialmente il 2 marzo 1977 con la Dichiarazione sull’Instaurazione dell’Autorità del Popolo: il partito a capo del quale Gheddafi ha governato dal 1969 sino a quel momento, l’Unione Araba Socialista Libica, fu contestualmente sciolto e tutto il potere passò appunto ai comitati popolari e ai congressi popolari. Segretario del Congresso Generale del Popolo divenne, esattamente due anni dopo (2 marzo 1979) e per i successivi due anni, Abdul Ati al-Obeidi, poi divenuto ministro degli Esteri e passato dalla parte dei terroristi nel 2011. Da allora, per i successivi 32 anni, il Congresso Generale del Popolo ha visto avvicendarsi sette Segretari eletti con la procedura descritta nel Libro Verde.

È quindi privo di qualsiasi fondamento il luogo comune diffuso per anni dalla propaganda occidentale e dai suoi epigoni interni secondo cui Gheddafi sarebbe stato “il dittatore”, “il rais” (parola araba che significa “presidente”, carica che egli non ricopriva in nessuna istituzione) che ha “governato ininterrottamente per 42 anni”. Egli infatti mantenne per sé solamente il titolo onorifico di Guida della Rivoluzione, e in tale veste, autorizzato dal Congresso Generale del Popolo, andava a incontrare e trattare con i capi di Stato stranieri in qualità di simbolo e volto pubblico della Libia verde. Ma niente di più: la sua proposta del 2008 di trasferire al popolo tutte le ricchezze e le riserve petrolifere del Paese incontrò infatti la ferma opposizione di quei carrieristi che poi, tre anni dopo, cambieranno casacca e inizieranno a sventolare la bandiera della “democrazia liberale” (cioè quella del periodo coloniale e della tirannia di re Idris) assieme a quelle francesi, inglesi e americane.

Sotto l’autorità diretta del popolo, la Jamahiriya libica divenne il Paese più stabile e ricco dell’Africa, con progetti come il Grande Fiume Artificiale (1984) che avrebbero risolto il problema idrico non solo della Libia, ma di tutta la zona del Sahara. Noto è anche il sostegno internazionalista di Tripoli alle lotte rivoluzionarie in tutto il mondo, dall’Irlanda al Perù passando per i Paesi Baschi, il Sahara Occidentale, le Filippine, il Nicaragua, l’Uruguay, le Pantere Nere, il Sudafrica e ovviamente la Palestina. Oltre all’URSS, la Libia intratteneva ottimi rapporti con Jugoslavia, Romania, Cuba, RPD di Corea e il Movimento dei Non Allineati. Nel 2011, in mezzo al caos fomentato dall’imperialismo occidentale, si pronunciò addirittura per il riconoscimento dell’indipendenza andalusa come ritorsione per quello spagnolo del cosiddetto “Consiglio Nazionale di Transizione” (i “ribelli”). Evo Morales, in un incontro con Gheddafi nel 2008, ammise che la costruzione del nuovo Stato Plurinazionale della Bolivia era largamente ispirato al Libro Verde.

Contrariamente alla ricostruzione di alcuni falsi “antimperialisti”, la normalizzazione dei rapporti con l’Occidente a seguito dell’abbandono del programma nucleare (2003) non comportò affatto una riduzione del sostegno ai popoli in lotta o un abbandono dei principi dell’antimperialismo: basta leggere i discorsi che la Guida della Rivoluzione tenne qui da noi, alla Sapienza, nel 2009, ove egli incoraggiò apertamente gli studenti e le masse popolari alla rivoluzione e alla costruzione di congressi popolari e comitati popolari anche nel nostro Paese, per averne un’eloquente dimostrazione.

Dalla nazionalizzazione delle risorse strategiche precedentemente gestite dagli anglo-franco-americani subito dopo la rivoluzione alla definitiva sistemazione delle questioni rimaste in sospeso sul colonialismo italiano con Berlusconi nel 2009 e nonostante i tentativi di destabilizzazione e invasione da parte degli Stati Uniti (come nel 1986), i tentativi di omicidio ai danni di Gheddafi stesso, fortunatamente sventati, come a Ustica, la Libia ha saputo affermarsi nella comunità internazionale come un Paese indipendente, sovrano e rispettato. Ancora nel 2000, fu proprio grazie alla mediazione della Fondazione Gheddafi per la Carità e lo Sviluppo che furono salvati gli ostaggi europei sequestrati a Dos Palmas nelle Filippine.

Perché, allora, la Jamahiriya è stata brutalmente distrutta nel contesto degli Inverni arabi?

Molti hanno puntato il dito sull’idea di Gheddafi di costruire una Banca centrale africana indipendente e una moneta autonoma per sganciare il suo continente dal dominio occidentale: un progetto visionario che ha avuto l’unico difetto di anticipare troppo i tempi (errore tipico dei grandi visionari), visto il cammino che un decennio dopo l’Africa ha iniziato a intraprendere verso quella stessa direzione, seppur su scala nazionale e ognuno coi suoi tempi e le sue velocità, e che oggi sarebbe sicuramente ancor più avanzato se ci fosse ancora la Jamahiriya a sostenerlo. Altri, invece, hanno identificato la causa nella ben nota questione dei finanziamenti alla campagna elettorale di Nikolas Sarkozy, motivo sicuramente presente anche se non verosimilmente centrale per distruggere uno Stato intero.

Quali che siano le motivazioni, però, nessuno ha effettuato un’analisi critica, sine ira et studio, di quelli che sono stati anche i limiti dell’esperienza libica, vero aspetto principale della fine dell’esperienza socialistica in Libia.

Il contesto in cui si trovava il Paese alla fine del secolo scorso era caratterizzato da alcune difficoltà economiche date dalle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea a causa del programma nucleare che aveva appena iniziato a sviluppare, oltre che per il presunto “sostegno al terrorismo” e l’altrettanto presunto “coinvolgimento” nella tragedia di Lockerbie, mai dimostrati né l’uno né l’altro. Le due guerre del Golfo e la pressione cui fu sottoposto l’Iraq di Saddam Hussein nel quindicennio 1991-2006 per la questione delle armi chimiche (che Baghdad abbandonò quasi subito) “persuasero” Tripoli a rinunciare allo sviluppo dell’atomica, dichiarando ufficialmente la dismissione del relativo programma nel dicembre 2003. Questa fu anche una misura di risposta alla ripresa dei rapporti con l’UE e gli USA e al sollevamento di alcune sanzioni nel 1999, oltre che una mossa data dalla convinzione che, nel contesto delle controversie sulle armi chimiche irachene sullo sfondo della seconda Guerra del Golfo, “mettendo le mani avanti” non ci sarebbero stati “problemi”. In quegli anni fu decisa la compensazione delle vittime di Lockerbie come gesto di pacificazione e le riforme economiche ispirate da Saif al-Islam Gheddafi, secondogenito di Muammar, per attirare investimenti, aprire il mercato libico e superare quanto prima le conseguenze delle sanzioni, causarono collateralmente un’occidentalizzazione sempre più marcata dello stile di vita dei libici, esposti alle sirene della “ricchezza”, della “prosperità” e dello sfarzo europei e abbandonando progressivamente la spinta rivoluzionaria, di fatto spoliticizzandosi. Nel 2010, in un’ottica di “riconciliazione nazionale”, furono scarcerati i membri del Gruppo dei Combattenti Islamici Libici i quali, pur avendo formalmente “rinunciato alla violenza” nel 2006, tornarono immediatamente a farvi ricorso nel 2011: il loro capo, Abdelhakim Belhaj, fu infatti tra i primi a entrare a Tripoli nella fase finale della guerra che portò al crollo della Jamahiriya. La fiducia che Gheddafi nutrì verso Obama per le sue origini africane fece il resto, assieme alle sue concezioni interclassiste che non gli permisero di vedere la formazione di una nuova borghesia antisocialista e filo-occidentale all’interno stesso della Libia.

Oggi le forze rimaste fedeli all’eredità del Colonnello Gheddafi e della Jamahiriya si sono radunate proprio attorno a Saif al-Islam e al Fronte Popolare per la Liberazione della Libia, sulla base del progetto Libia Domani, che egli lanciò originariamente il 20 agosto 2006 e ha coerentemente ripreso adesso per risollevare il Paese dalle macerie e dalla catastrofe della guerra e dell’instabilità. Nell’intervista che ha concesso al New York Times nell’estate 2021, la prima dopo anni di “clandestinità”, ha ripreso e confermato la validità di alcuni concetti del Libro Verde, ma quanto si possa definire il suo progetto un tentativo di restaurare la Jamahiriya, perlomeno come l’abbiamo lasciata, solo il tempo e la prassi possono dirlo.

Note

1 Muammar Al-Gheddafi, Il Libro Verde, Centro Internazionale Ricerche e Studi sul Libro Verde, Tripoli 1984, pp. 37-38.