horafelix

Di Ivan Branco

Nei giorni del 5 e 10 giugno, sono stati organizzati due eventi che hanno avuto come perno due volumi, il primo edito da Il Cerchio Editore e il secondo dall’Anteo Edizioni, nella libreria e caffè letterario Horafelix, a Roma. Gli incontri, che hanno visto una partecipazione molto attiva e sentita da parte tanto dei partecipanti quanto dei relatori, hanno visto questi ultimi presentare non soltanto dei libri, dei dati e delle storie, ma anche – e soprattutto – delle visioni e prospettive che mettono in luce qualcosa che, oggigiorno, continua sempre più a perdersi e a venir spacciato sotto altre spoglie.

Il senso del complesso, del tempo persino, delle sfumature di cui popoli, civiltà, società, lingue, conoscenze, coscienze e storie sono permeate e che definiscono, in processi lunghi e complicati, moltissime specificità e modi di intendere-vedere il mondo e la vita stessa che, ad oggi, vanno sempre più a diluirsi in processi superficiali, semplici, omologati e, talvolta, precostituiti.

Tale tematica è stata tratta anche durante l’ampia introduzione della presentazione del 5 giugno, curata dall’islamista Marco di Branco, al libro “L’India dei Turchi. Una Storia Dimenticata del Subcontinente Indiano”, saggio scritto dai turcologi e saggisti Simone Costanzo e Federico De Renzi.

Di Branco ha sottolineato come fosse ed è tutt’ora necessario fare storia “seriamente e difficilmente”, cercando di andare oltre (e contro, in un certo senso) al puro enciclopedismo e accademismo che rendono gli studi e, di conseguenza, studiosi e studenti solamente dei dispensatori e propagatori (peraltro in modo piuttosto arido) di conoscenze che non hanno profondità reale e che non creano nemmeno una coscienziosità in coloro che le posseggono.

Di fatto, uno proprio degli intenti (sia divulgativi ma anche “epistemologici”) del De Renzi e di Costanzo, era ed è quello di raccontare una storia (cosa che si fa fin troppo poco, oggi…) poco nota ai più non solo da un punto di vista puramente storiografico, ma anche intellettuale e spirituale – nel senso stretto della parola: in particolare, questo libro è anche una reazione proprio a quella storiografia e modo-di-vedere le cose che, tanto dalla prospettiva colonialista e tanto da quella woke, non ha fatto altro che erigere barriere e confini ideologici per cercare di giustificare le proprie pretese, e non già per avere una comprensione della realtà, e così anche una visione della vita che, al di là delle sfumature soggettive, rispecchi la realtà della vita stessa.

Lo stesso discorso vale anche per l’evento tenutosi cinque giorni dopo, il 10 di giugno: stavolta non si parlava della conflagrazione/amalgamento dell’universo turco-islamico con quello indiano-induista (per semplificare il tutto, poiché, come già detto, di complessità ve ne sono a bizzeffe), bensì di un altro tipo di ricerca: il puro viaggio. “Percorrendo il Sentiero di Marco Polo”, libro scritto dai due viaggiatori Wang Miao e Shi Baoxiu, con una presentazione curata da Federico De Renzi, è come se fosse una seconda tappa di un percorso, di un viaggio appunto, iniziata con “L’India dei Turchi” e che stavolta non ci porterà tanto a scoprire e a perderci – con curiosità – nel passato, bensì a prendere quel passato stesso, ripercorrerlo e vedere le realtà dell’oggi.

Ciò per un motivo piuttosto semplice – ma non banale: i popoli, le società e tutto ciò che li riguardano cambiano in continuazione, senza avvertirci molte volte, e senza lamentarsi granché. Ma questo non è un problema, un disturbo della natura umana e del suo percorso storico, anzi, è proprio grazie a tali mutamenti continui e alle realtà che sempre vivono nel loro tempo che possiamo dire di avere una natura e una storia. E cercando di far rientrare tutti questi elementi, in modo più concreto, nel libro stesso, quest’ultimo è una sorta di reportage/romanzo di viaggio (condito da molte immagini fotografiche) in cui i due autori, parlando da un’ottica cinese della Cina stessa e delle sue “interiora”, usano come bussola il racconto del celebre esploratore veneziano Marco Polo per il loro itinerario: “Il Milione”.

Perché proprio questo testo? Beh, non tanto per la sua veridicità e per le tracce che lascia, quanto più per dimostrare il valore e il senso del viaggio stesso dell’esploratore veneziano, di ciò che ha riportato a casa e di come tutt’oggi il valore di questo saper vagare fra mondi sconosciuti senza perdere mai il senso dell’Identità, ma cercando, invece, di comprendere a fondo tutti i suoi cambiamenti e caratteri, vada rivitalizzato.

Per poter vivere dentro di sé e fuori da sé con un senso più compiuto e veritiero le realtà che ci circondano, ci plasmano e che lasciano poi il posto a un sempre nuovo avvenire.