
Di Giovanni Amicarella per ComeDonChisciotte.org
La piazza ha già iniziato a popolarsi di bandiere russe (di tutte le epoche) e di altri paesi che facevano parte dell’URSS, nonché proprio le bandiere della Vittoria. Non mancano le bandiere italiane, così come il gonfalone del comune ad aprire il corteo in preparazione. Tanti hanno i loro padri e i loro nonni in foto, basta fermare a parlarsi un attimo per scoprire ogni singola storia di eroismo e di sacrificio: quello di un popolo che si trovò attaccato a sorpresa da una potenza che vedeva gli slavi come inferiori, e che non perse occasione di dimostrarlo durante la feroce offensiva. Racconti che, fra l’emozione di chi li rievoca e l’atmosfera generale, diventano vividi perfino per chi li sente per la prima volta. Tante storie che singolarmente sono come le tessere di un mosaico, costruendo una storia vastissima, che ha coinvolto milioni.
Questo è lo scenario che si intravede in diverse iniziative che, dal 23 aprile fino a ben oltre la metà del mese successivo, costellano maggio nella sua interezza: piazze si animano dalle più grandi città a quelle più periferiche, cortei si snodano in decine di vie. Tantissimi i partecipanti della comunità russa, che come accennato poc’anzi hanno tutti una storia da raccontare.
Qui capiamo come la seconda guerra mondiale sia diventata, quasi naturalmente nella coscienza sovietica, la Grande Guerra Patriottica: era una difesa della propria patria davanti a una potenza che, se avesse vinto, avrebbe fatto di tutto per cancellarla fino alle fondamenta. In quella malaugurata guerra ci siamo finiti anche noi italiani, trainati in un tritacarne dagli stessi che poco tempo dopo non esitarono a dimostrarci che vedevano anche gli italiani come inferiori, così come tutti quelli che non si prestavano alle loro manie di grandezza. Tranne inglesi e americani, ma su questo torneremo dopo.
La marcia fino al monumento procede con ritmo costante, le bandiere sventolano, i russi presenti cantano canzoni patriottiche tipiche del periodo. Tutto il passaggio da un monumento all’altro è una cerniera con il passato, tuttavia non scade mai nella retorica della “commemorazione” fine a sé stessa: qui nessuno “conserva urne”, mentre invece tiene viva la fiamma di una memoria che rappresenta un antidoto ad una narrativa tanto velenosa quanto guerrafondaia. Tutto ciò è ovviamente, in molti casi, grazie all’ottimo lavoro organizzativo degli amici di Russia Emilia-Romagna, che riescono sempre a mantenere attuali temi su cui fin troppo spesso si rischia un approccio storicistico che ben poco li valorizza nella loro attualità.
Il loro è un lavoro che, specie ultimamente, ha dato ampio spazio alla ricerca storica sui partigiani sovietici, che hanno rappresentato e continuano a rappresentare in larga parte un’incognita storiografica: “dimenticati” dagli Alleati, incarcerati spesso con gli stessi nazisti che avevano aiutato a sconfiggere, i partigiani sovietici ebbero modo di farsi apprezzare dalla popolazione locale per il loro alto tasso di determinazione in battaglia e rispetto dimostrato verso i civili, finendo però per rappresentare una scomoda questione anche per l’allora PCI (che ne iniziò a parlare solo nel ’66). I sedicenti “Alleati” infatti avevano già un preciso progetto per l’Italia, in cui i socialisti non solo non erano contemplati, ma rappresentavano proprio un ostacolo: assoggettare l’Italia a quello stato semi-coloniale in cui si trova tutt’ora, completamente sottomessa a quegli interessi che nel corso degli anni successivi si delinearono come “atlantici”.
L’attuale politica non manca occasione per ricordarci quanto siano scomodi eventi del genere, fra boicottaggi e azioni di disturbo, europarlamentari che piangono alla “propaganda politica” quando l’unica propaganda è la loro. Questa memoria sta riuscendo sempre di più ad arrivare anche alla mia generazione, che si pone sempre più domande critiche sulla versione della storia raccontata dagli statunitensi: se le precedenti generazioni si facevano abbindolare dal carro armato statunitense che libera tutti alla fine de La vita è bella, sono sempre più i giovani italiani che ridono di gusto a patetici tentativi di riscrivere la storia come questo. Non è un caso che le piazze per il riarmo contro la Russia, chiamiamo il “ReArm Europe” con il suo vero nome, fossero popolate quasi solamente da anziani: siamo al primo caso di nonni che scendono in piazza per mandare al fronte i nipoti. Speriamo anche l’ultimo.