Sul contesto mediatico e lo sciacallaggio politico, di Giuseppe Di Pasqua

Oggi il terrorismo mediatico borghese, che fomenta i conflitti sociali, il fazionismo e la divisione del fronte socialista stesso, ha un nuovo baluardo: la strumentalizzazione della morte di una donna, Giulia Cecchettin.
Parto dal presupposto che il problema non é parlarne, ed anzi è fin troppo bene farlo per aiutare tutte le donne che vivono in situazioni sul filo del rasoio dal divenire tragedia, ma come se ne parla è altrettanto determinante. Il nocciolo è la strumentalizzazione o, ancor peggio, la mercificazione della tragedia. Tutti ne parlano per consolidare un impianto ideologico, o per lucrare politicamente dal fatto con una rivoltante propaganda, non per il dispiacersi della perdita di una persona. Ormai questa tragedia, al pari di altre, è stata resa una merce per il mercato mediatico che lucra dalle divisioni. Uno strumento dei mass media borghesi per spaccare le persone in base alle gonadi, e non in base alla classe.

Non sorprendetevi se qualcuno ci farà o ci ha già fatto economia sopra, in primis la cronaca giornalistica che ne parla ormai da tempo con toni sempre più accesi nei confronti del genere maschile da un lato, o con toni giustificazionisti dall’altro. Le varie posizioni dimostrano inequivocabilmente la nevrosi politica generale ben descritta da Pasolini a suo tempo. Come oggi, quello che definisco “intersezionalismo borghese”, sta sempre di più spezzando sia il nostro fronte che quello dei rapporti sociali. Su come ogni movimentino tiri acqua al suo mulino e non pensi altro che al proprio orto o terreno mediatico, lucrando chi dalla morte sul lavoro, chi dal femminicidio, rifiutandosi poi di azioni concrete, ci sarebbe da aprire una lunga parentesi.
Dovremmo essere tutti uniti come lavoratori e italiani, vicini alla famiglia della vittima. Non a mercificare la salma per una inutile guerra tra generi, che non ha senso su alcun piano. Essendo l’unica lotta interna alla questione nazionale basata sulla classe.
La nostra società ha bisogno di un cambiamento radicale e non di tante formine inconcludenti che portano a squilibri sociali. Ci serve una società, insomma, in cui vi sia uguaglianza. Non una società in cui “tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri”.

Rapporto tra i sessi e socialismo, di Fabian

Per Marx ed Engels la famiglia è prima di tutto un prodotto storico, non già una categoria ideale eterna e
immutabile, quanto piuttosto il risultato di un’evoluzione storica che nel tempo ha prodotto forme particolari di aggregazione familiare strettamente correlate al sistema economico-sociale dominante.
Proprio in virtù di ciò anche la famiglia “borghese”, capitalistica, non potrà restare completamente illesa dal grande sconvolgimento economico-sociale rivoluzionario; il “movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti” è destinato a toccare ogni aspetto della vita sociale dell’uomo, ivi compreso il “sacro” matrimonio borghese, che già il capitalismo nel suo progredire intacca e rivoluziona continuamente, creando i presupposti per una nuova forma di vita familiare di tipo “proletario”, slegata dal vincolo borghese della “proprietà”.
Eppure fra ataviche accuse di velleità collettivizzanti (la cosiddetta “comunanza delle donne”), o supposte
forme di “libero amore” auspicate nel corso della rivoluzione sessuale sessantottina, è ben difficile
rintracciare nel pensiero socialista una visione perlomeno coerente in merito al problema della famiglia nel socialismo.

La funzione progressiva della famiglia monogamica
L’uomo non è sempre stato rigidamente monogamo, e d’altronde ciò ben si concilia con la sua natura di
mammifero e primate. La monogamia è infatti assai rara in natura, e generalmente tipica ben più degli uccelli che dei mammiferi. Eppure essa non è sconosciuta nei primati, e potrebbe aver svolto una funzione assai importante a livello evolutivo: la monogamia ha probabilmente facilitato le cure parentali e limitato gli infanticidi, assai comuni nelle specie promiscue.
È bene tuttavia ricordare che monogamia sociale non significa necessariamente monogamia sessuale, la
quale è decisamente scoraggiata in natura, proprio perché evolutivamente svantaggiosa in termini di fitness. Una particolarità della monogamia nella nostra specie è proprio la sua presunta e “ufficiale” esclusività anche a livello sessuale, quella che in ambito biologico è definita “monogamia genetica”, in
contrapposizione alla “monogamia sociale”.
Questa esclusività è con grande probabilità un prodotto squisitamente storico, di carattere tuttavia
progressista, poiché contiene in sé i presupposti per una reale parità fra l’uomo e la donna. Come scrisse
Engels infatti: «La nuova monogamia che, sulle rovine del mondo romano, uscì dalla mescolanza dei popoli, rivestì la supremazia maschile di forme più dolci, riservando alla donna una posizione di maggiore
considerazione e libertà – almeno esteriormente – non mai conosciuta durante l’era classica. E per suo merito dalla monogamia fu possibile sviluppare – in essa, a lato o contro di essa – la massima conquista morale della quale le siamo debitori, l’amore sessuale moderno. Prima sconosciuto.» (L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato).
Il fatto che nel mondo romano il termine “familia” indicasse inizialmente anche l’insieme degli schiavi sottoposti all’autorità del “pater familias” è indice della profonda differenza fra la concezione moderna e quella passata di famiglia. Fin dall’inizio la monogamia, strumento di oppressione da parte dell’uomo sulla donna, fu finalizzato a garantirsi la paternità sui figli, i quali, «in qualità di eredi diretti» dovevano «entrare un giorno in possesso della fortuna paterna».
Inoltre «l’esistenza della schiavitù a fianco della monogamia, la presenza delle giovani e belle prigioniere
appartenenti corpo e anima all’uomo che le ha conquistate, costituiscono fin dall’origine il carattere specifico della monogamia, la quale è monogamia soltanto per la donna e non per l’uomo» (Engels).
L’amore sessuale privato ed esclusivo moderno fu in sostanza il risultato storico di una monogamia originale di carattere puramente materiale, finalizzata alla perpetuazione del patrimonio, e non viceversa. Ma dinanzi a questo rapporto “esclusivo” fiorivano impunemente le più svariate forme di adulterio, dal libero rapporto con le prostitute al rapporto sessuale con le schiave.
Nel matrimonio borghese, ugualmente, la prostituzione ufficiale e non ufficiale è la caratteristica
fondamentale del rapporto ufficialmente “esclusivo”, fondato non sul sentimento e l’affetto reciproco, quanto sul legame della proprietà, sul denaro, sull’interesse.
Con la nascita del sistema borghese «il diritto alla prima notte passò dai signori feudali ai fabbricanti
borghesi. La prostituzione dilagò in maniera sinora inaudita. Il matrimonio stesso rimase, come prima, una
forma giuridicamente riconosciuta, un mantello che ufficialmente copriva la prostituzione e venne inoltre
completato dall’adulterio su larga scala. Per farla breve, confrontate con le pompose promesse degli
illuministi, le istituzioni sociali e politiche instaurate col «trionfo della ragione» si rivelarono caricature e
amare delusioni» (Engels, Anti-Dühring).

La posizione della donna nella società capitalistica
La donna per il borghese è prima di tutto un mezzo di produzione, nonché un oggetto del proprio
soddisfacimento sessuale; non a caso una delle prime accuse rivolte dalla borghesia contro i socialisti fu
propria la presunta volontà di “collettivizzare le donne”: il filisteo borghese, che non vedeva nella propria
moglie altro che un mezzo di produzione, non poteva non vedere nella messa in comune dei mezzi di
produzioni anche una violazione della proprietà sulla “propria” donna. Per la donna il rapporto con il
borghese è invece spesso e volentieri un rapporto d’interesse, legato alla proprietà dell’uomo, nonché uno strumento di elevazione sociale.
In generale non è necessario limitare la propria analisi alla “grande borghesia” per rendersi conto di quanto la proprietà sia dovunque il collante fondamentale del rapporto umano familiare. Quante coppie sono oggi costrette ad una convivenza forzata per motivazioni d’ordine patrimoniale?
Il fatto che le moderne battaglie per l’emancipazione femminile non riescano a porsi al di là della concezione della donna come “merce” è indicativo di quanto esse siano in realtà colluse con il sistema borghese nel suo complesso: non puntano ad abolire il cosiddetto “sex working”, la prostituzione, la pornografia, quanto a legalizzarlo e renderlo socialmente e moralmente accettabile. Il carattere assolutamente borghese di questa lotta è di per sé dunque evidente, tuttavia ogni altra soluzione radicale non fondata su un rivolgimento radicale dell’attuale modo di produzione è probabilmente un’utopia: la prostituzione, in tutte le sue forme, ha le sue radici profonde nel sistema capitalistico, e le sue cause sono primariamente di carattere economico.
Contemporaneamente il sistema borghese dissolve la famiglia “tradizionale” per il proletariato, le cui
«relazioni con la moglie e coi figli non hanno più nulla in comune con i rapporti familiari borghesi» (Marx-Engels, Manifesto)
In particolare «l’occupazione della donna nella fabbrica disgrega totalmente la famiglia, e questa
disgregazione, nelle condizioni attuali della società, che poggiano sulla famiglia, ha le conseguenze
moralmente più degradanti tanto per i coniugi quanto per i figli. (…) una madre che vede appena il suo
bambino, non può essere per lui una vera madre, al contrario, deve perdere ogni affetto per lui, trattarlo senza amore, senza premure, come un bambino estraneo» (Engels, la situazione della classe operaia in
Inghilterra); i rapporti tra i sessi risultano inoltre alienati nel capitalismo, tanto che già Engels ebbe a dire:
«Eppure questa situazione che svirilizza l’uomo e toglie alla donna la sua femminilità, senza riuscire a dare all’uomo una vera femminilità e alla donna una vera virilità, questa situazione che nel modo più infame degrada i due sessi e con loro l’umanità, è la conseguenza ultima della nostra tanto decantata civiltà, l’ultimo risultato di tutti gli sforzi compiuti da innumerevoli generazioni per migliorare le loro condizioni e quelle dei loro discendenti!».


Il fatto che nella moderna società capitalistica la “parità dei sessi” assuma spesso la forma di una
mascolinizzazione del sesso femminile è indice della difficoltà che nella nostra società incontra
l’emancipazione della donna in quanto donna, nel rispetto della sua femminilità: la donna emancipata deve vestirsi come un uomo, avere gli stessi vizi di un uomo, fare gli stessi sforzi fisici e lavorativi di un uomo.
Culturalmente e socialmente non riusciamo ad oltrepassare i limiti della vecchia società patriarcale, e
inconsciamente identifichiamo nella virilità il presupposto della parificazione. Il dimorfismo sessuale, il fatto che tra donne e uomini vi siano delle differenze fisiologico-biologiche ci disgusta e spesso affermarlo subodora di retorica conservatrice e reazionaria. L’ipotesi che donne e uomini possano essere uguali nel rispetto di queste differenze ci provoca sconcerto e ripudio, proprio perché a livello inconscio siamo incapaci di superare la visione della donna come creatura inferiore all’uomo, tanto che solo la donna fattasi uomo può considerarsi realmente e concretamente emancipata.
Il capitalismo tuttavia crea anche nel campo familiare i presupposti per una profonda ridefinizione dei
rapporti fra i sessi, strappando le donne dalla vita domestica e inserendole nel processo produttivo. Proprio questa parificazione sul piano economico dell’uomo e della donna è la condizione primaria fondamentale per una reale e concreta parità fra i sessi all’interno della famiglia. Affinché tuttavia questa parificazione sia effettiva è necessario liberare la donna dall’impegno domestico attraverso una socializzazione del processo educativo e del lavoro domestico: in un intervista con Clara Zetkin (Lenin e il movimento femminile), Lenin ebbe a dire: «Creiamo cucine comunali e mense, lavanderie, laboratori, nidi e giardini d’infanzia, case per bambini, istituti educativi d’ogni specie. In breve, stiamo seriamente attuando il nostro programma di trasferire alla società le funzioni educative ed economiche del nucleo familiare. Questo significa per la donna la liberazione dalla vecchia fatica massacrante della casa e dallo stato di soggezione all’uomo. Le permetterà di sviluppare in pieno il suo ingegno e le sue inclinazioni».

La famiglia socialista
«A questo punto un problema si pone: la monogamia, nata da cause economiche, sparirà con queste cause? Potrebbe essere risposto con ragione: essa non sparirà affatto, e anzi proprio in questo momento potrà essere attuata pienamente.
Giacché con la trasformazione dei mezzi di produzione in proprietà sociale sparirà pure il lavoro salariato, il proletariato, e conseguentemente la necessità comune a un certo numero di donne, la cui valutazione ci può essere facilitata dalle statistiche, di prostituirsi per danaro. Il proletariato sparisce e la monogamia, anziché declinare, diventa una realtà anche per gli uomini.» (Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato).
Nel complesso è difficile credere che le tanto agognate teorie sulla liberazione sessuale propugnate da una minoranza di presunti “comunisti” si realizzeranno nel socialismo: già Lenin, a suo tempo, mise in ridicolo le suddette concezioni, sempre nel già citato colloquio con Clara Zetkin: «Io diffido di quelli che sono costantemente e ostinatamente assorbiti dalle questioni del sesso, come il fachiro indù nella contemplazione del proprio ombelico. Mi sembra che questa abbondanza di teorie sessuali, che non sono in gran parte che ipotesi arbitrarie, provenga da necessità tutte personali, cioè dal bisogno di giustificare agli occhi della morale borghese la propria vita anormale o i propri istinti sessuali eccessivi e di farli tollerare. (…) Ha un bel rivestirsi di forme sovversive e rivoluzionarie: questa occupazione è non di meno, alla fine dei conti, puramente borghese. (…) Gli eccessi nella vita sessuale sono un segno di decadenza borghese. Il proletariato è una classe che sale».
Nel socialismo la famiglia smetterà, senza dubbio quantomeno, di essere luogo di oppressione («La
rivoluzione non ha abbattuto tutte le tirannie; i malanni che sono stati rimproverati ai poteri arbitrati,
continuano a esistere nelle famiglie», Marx), e diventerà invece una libera unione di individui inserito in un più ampio contesto collettivo: l’educazione stessa della gioventù sarà a carico della società nel suo complesso e «ognuno proverà amore e sollecitudine per tutti i bambini, sia i propri che quelli degli altri» (Kim il Sung).
L’abolizione della proprietà privata creerà i presupposti affinché il legame matrimoniale possa basarsi
unicamente sull’inclinazione reciproca, senza che interessi materiali entrino in gioco: «La piena libertà di
concluder matrimonio può dunque essere realizzata generalmente solo allorché l’eliminazione della
produzione capitalistica e dei rapporti di proprietà creati da essa abbiano allontanato tutte le considerazioni economiche secondarie, che esercitano ancora adesso un’influenza così potente sulla scelta del coniuge.
Allora veramente non vi sarà altro motivo di scelta che la simpatica reciproca», inoltre «ciò che sicuramente scomparirà della monogamia sono tutti i caratteri che le sono stati impressi con la sua nascita dai rapporti di proprietà: cioè, primo, il predominio dell’uomo; secondo l’indissolubilità. Il predominio dell’uomo nel matrimonio è una semplice conseguenza del suo predominio economico e cadrà da sé con la scomparsa di questo. L’indissolubilità del matrimonio è, in parte, conseguenza della situazione economica nella quale è sorta la monogamia (…). Se è morale solo il matrimonio fondato sull’amore, è anche vero che lo è soltanto quello in cui l’amore persiste» (Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato).

Conclusioni
Il marxismo, in quanto scienza, non si propone d’essere prescrittivo, quanto descrittivo: le conclusioni marx-engelsiane vanno sempre lette considerandole come il risultato dell’analisi di un determinato sviluppo storico, non come imperativi categorici d’ordine etico-morale.
Ogni sistema sociale si sviluppa inizialmente nel grembo del vecchio sistema ed è proprio osservando le
direttrici di sviluppo della società nel complesso che è possibile fare delle ipotesi sull’organizzazione futura, le quali, ben inteso, restano ipotesi.
Le forme particolari di questa nuovo rapporto “familiare” ci sono ovviamente oscure, e sarebbe forse mero utopismo cercare di delinearne a priori le caratteristiche; ciò che è certo, tuttavia, è che tutti i rapporti, tanto fra marito e moglie, quanto tra genitori e figli, saranno rapporti più concreti e puri, in quanto fondati esclusivamente sulla libera volontà d’impegnarsi per il bene reciproco, senza che entrino in gioco valutazioni d’ordine patrimoniale.

Gelosia e femminicidio. In memoria di Giulia.
Il recente caso di cronaca nera che ha tenuto con il fiato sospeso il paese non può che provocare una
profonda indignazione e un non indifferente sconforto.
Giulia non è la prima né l’ultima vita di questa profonda degenerazione nei rapporti interpersonali che,
sebbene onnipresente nella storia umana, ha assunto delle caratteristiche peculiari nell’ambito del dominante sistema produttivo e sociale borghese.
Già Marx, a suo tempo, affermò: «Il geloso ha bisogno di uno schiavo, egli può amare, ma per la gelosia è un sentimento di lusso; il geloso è innanzitutto un proprietario privato.» (Marx, Peuchet sul suicidio),
«L’infelice donna era condannato alla schiavitù più intollerabile e questa schiavitù il signor M. la esercitava
(…) fondandosi su un assetto sociale che rende l’amore indipendente dai liberi sentimenti di coloro che si
amano e al marito geloso permette di circondare la moglie di lucchetti, come un avaro la sua cassaforte;
infatti la moglie non è altro che una parte del suo patrimonio.» (Ivi)
Il fatto che nella nostra società “civile” lo stupro, la molestia e il femminicidio continuino a diffondersi in
maniera preoccupante, coinvolgendo spesso e volentieri, soprattutto nel terzo caso, non soggetti dall’indole omicida e irrimediabilmente psicopatica, bensì quelli che fino a poco prima sembravano tranquilli e normalissimi cittadini, forse eccessivamente “gelosi” un po’ possessivi, è indice di come la società borghese, sebbene “tollerante” e “progressista”, non riesca a liberarsi della concezione della donna come oggetto del piacere sessuale dell’uomo, o quantomeno una proprietà privata di quest’ultimo. La gelosia non è amore morboso, ma pura e semplice “sete di possesso”. Non riusciamo ad accettare l’abbandono di quella che consideravamo la nostra amata non per un eccesso di “amore”, ma perché non riusciamo ad accettare che la nostra fedele proprietà, per la quale dovevamo in eterno restare i “primi”, gli “unici”, i padroni meritevoli unicamente di fedeltà e devozione, non sia più parte del nostro patrimonio.
Il dolore che ci attanaglia nel momento dell’abbandono è spesso più legato, forse, a quello che consideriamo un furto della nostra proprietà.
La società borghese è una società alienata, nella quale il rapporto fra “soggetti” è stato brutalmente sostituito dal rapporto fra “oggetti”. Se nella comunità primitiva ogni scambio era prima di tutto finalizzato al rafforzamento del legame sociale, nella società capitalistica ogni scambio è privato di qualsiasi rapporto umano, e il rapporto umano stesso è tramutato in scambio.
Ogni legame è ricondotto all’Io, sentiamo la necessità impellente del legame sociale affinché il nostro ego, il nostro narcisismo, ne esca rafforzato. Cerchiamo un partner perché ci sentiamo soli, e abbandonati in questa solitudine desideriamo ardentemente una proprietà che sappia colmare i nostri sensi d’inferiorità. Possedere una donna (o un uomo) è per noi come possedere una macchina di lusso.
Temiamo la solitudine come temiamo la povertà, il pauperismo, poiché viviamo in una società in cui solo
l’avere, il patrimonio, è in grado di definirci come esseri (in)umani. Siamo ciò che possediamo, e troviamo
conforto semplicemente in questa sete mostruosa per la proprietà. Saremo capaci, un giorno, di aprire le porte del regno dell’Essere, fondato sulle macerie del vecchio mondo dell’Avere?

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