Di Sov

Ci troviamo in tempi oscuri, negarlo fa bene solo ai nostri nemici, ed è una naturale risposta a ciò che si è formata nella nostra bella penisola: una forte agitazione per liberarci di questa situazione. E forse la massima espressione di questa agitazione e delle sue contraddizioni è stata la manifestazione svoltasi il primo giugno, un’unione di tutte le forze antisistema unite in una protesta-parata per urlare il loro dissenso a grandissima voce. Essere a eventi come questi porta sempre una certa suggestione: per qualche ora ci si sente come inebriati da tutta quella massa, ci si sente potenti, uniti, pieni d’impeto e forza, soprattutto poi con le belle canzoni partigiane e le parole fiammanti. Ma poi, come l’inebriante effetto di un paio di buone birre, tutto finisce e si è costretti inevitabilmente ad avere a che fare coi postumi di tale evento.

Questa manifestazione ha avuto dei risultati? A breve termine ha visto sicuramente un’unione di molte forze politiche, almeno nella piazza, e ha reiterato un diffuso consenso sul discontento verso l’attuale governo. Ma a lungo termine cosa può ottenere? È possibile che questa manifestazione abbia lo slancio necessario per iniziare un movimento politico per rimuovere non solo l’attuale governo, ma anche l’amministrazione coloniale americana dall’Italia? Mi permetto, di fronte alla storia di questo paese, di essere cautamente scettico. Per prima cosa, un’accozzaglia così ideologicamente eterogenea difficilmente riesce a trovare un compromesso, nonostante esistano punti comuni. Ma davanti alle scottanti domande internazionali esiste una grande separazione: mondo multipolare, c’è chi lo sostiene apertamente, chi lo ripudia parlando di lotta tra imperialismi e chi sostiene che neanche esista! La sempre verde questione della Cina tra chi la chiama stato operaio degenerato, chi la taccia di revisionismo e chi timidamente si inizia ad aprire all’idea che forse il PCC non ci aveva visto poi così male nell’89. Si potrebbe pensare che almeno sulla Palestina martoriata esista un’unità di pensiero, ma è davvero così? Insomma. Di certo non ci sono i sionisti, ma c’è chi sostiene e chi non sostiene Hamas, c’è chi sostiene e chi no l’Iran. Insomma, dietro le belle parole dei discorsi si nasconde una disunità che ci perseguita dalla fine del PCI (e che, con un po’ di coscienza storica, aleggiava anche ben prima).

Viene quindi da chiedersi: è del tutto inutile il ritrovarsi assieme, discutere e manifestare fianco a fianco? No, ma solo se si riesce a trarre un’analisi seria dei tempi che corrono. È ora che la sinistra proletaria inizi a tirare fuori i proverbiali denti e che smetta di credere in idee riformiste. Quello di cui l’Italia ha ora bisogno è una sinistra proletaria forte, unita e pronta a combattere con le unghie e con i denti! Questo voler a tutti i costi entrare nelle istituzioni borghesi di alto livello è l’ennesimo sintomo della cancrena ideologica che affligge la sinistra, e su questo almeno qualcuno prova a proporre governi unitari di blocco popolare, governi immaginati senza ministri, esercito o branca diplomatica. Idea di per sé rispettabile per quanto con evidenti carenze, e soprattutto come viene fatta questa idea. Una specie di carovana disgiunta con elementi divisi uniti solamente da una fragile corda anti sistema. E se questo modo di fare non cambia allora temo che questa carovana verso la frontiera della liberazione nazionale morirà nel deserto della disunione della sinistra assaltata dalle tribù dell’opportunismo.

Mia patria sei bella e perduta, perduta perché ancora una volta ti abbiamo tradita e accoltellata, in quella piazza ti abbiamo messa in passerella e riempita di pugnali, ancora una volta abbiamo deciso di prendere la strada che porta al fallimento e alla sconfitta, che rende il padrone più forte e il lavoratore più schiavo, nonché la patria più in catene. Ma la disperazione è per coloro che non hanno metodo e non hanno dottrina, e io oso credere che nonostante si stia percorrendo una strada errata si possa osare cambiare rotta. Perché in quella massa senza fine di persone l’idea di un mondo migliore, di una patria libera, di un socialismo per la nazione e per gli italiani esisteva, perché oltre il velo di Maya dell’elettoralismo e oltre la cortina di fumo della disorganizzazione l’idea di cambiare le cose si faceva e si fa avanti, e non lo fa più timidamente e sommessa, lo fa con forza senza fine e con rinnovato vigore. Perché tra quelle masse sotto mille bandiere e sotto mille sigle, aleggia pesante e potente uno spirito, lo spirito del comunismo e della liberazione nazionale, spirito che potrebbe prima o poi osare prender possesso del movimento nazionale. Ma ciò non arriverà come manna dal cielo, il movimento della liberazione nazionale va costruito con dedizione e impegno giornaliero. Noi socialisti dobbiamo osare quel che nessuno osa e andare dove nessuno va: le fabbriche sono le nostre stamperie, le fattorie i nostri centri, i quartieri abbandonati e popolari le nostre caserme, gli ultimi sono i nostri soldati e noi siamo i loro ufficiali e generali. Dobbiamo ricordare al proletario che egli è appunto proletario, dobbiamo ricordargli che il padrone lo deruba finché non fa la fame, dobbiamo ricordargli che i nordamericani ci tengono schiavi e dobbiamo soprattutto imbarcarci nella titanica impresa di convincere l’italiano che noi socialisti non vogliamo derubarlo ma farlo libero. Il popolo di Mazzini e Garibaldi è ancora una volta schiavo ma per questo può insorgere ancora una volta! Ma come possiamo convincere questi uomini a sollevarsi, a rischiare tutto per un mondo migliore? Non di certo con le sfilate-protesta completamente inutili o con i discorsi elettorali; la realtà che non può più essere ignorata è che gli italiani vogliono una guida unita, forte e che ispiri fiducia, una guida unificata che prometta la pace lontano dalle guerre imperialiste, il pane quotidiano per vivere e la possibilità di ricercare e conquistare la felicità quotidiana. Nulla più desidera l’italiano proletario: promesse e parole di democrazia non gli mettono il pane nello stomaco, non gli pagano l’affitto e non gli educano i figli. Ed è per questo che la destra ha tanto successo, perché promette queste semplici cose, mentre si aggancia velatamente al passato fascista di questo paese, creando il mito di un periodo di prosperità, unione e pace a cui tornare, periodo mai esistito, che però è allettante in un’era di caos come questa, e quindi inevitabilmente la destra vince ancora, e ancora i nordamericani comandano e ancora il ciclo si ripete.

E la crescita della destra è oramai una tendenza che ha coinvolto l’intera Europa: il Rassemblement National di Marie Le Pen ha ottenuto circa il 30% dei voti, spingendo Macron a sciogliere il Parlamento: forse un segnale abbastanza importante dell’impopolarità che il novello Napoleone III si è guadagnato presso le masse francesi, eppure, noi socialisti, abbiamo ben poco da gioire; vittoria anche per l’estrema destra fiamminga in Belgio, risultato che ha portato alle dimissioni del premier De Croo; in Germania vince la destra moderata dell’Unione, ma l’estrema destra di AfD supera il Partito Socialdemocratico di Scholz, e anche in Austria l’estrema destra del Partito della Libertà Austriaco ottiene il primo posto, superando di poco i democristiani. Nel complesso, comunque, salvo rarissime eccezioni, ovunque trionfa la destra più o meno moderata, e anche in Italia la Meloni non accenna a perdere il proprio primato, guadagnando anche un paio di punti percentuali rispetto alle ultime elezioni nazionali; nel nostro paese, inoltre, l’astensione si assesta poco sopra il 50%, un segno inequivocabile della sfiducia delle masse nei confronti della truffa elettorale: a dispetto di ciò, difficile parlare di vittoria, poiché a queste elezioni i socialisti e i comunisti sono i grandi assenti, e non certo per “scelta politica”, quanto per una tragica situazione di frazionamento e dissidio interno. Né i pacifisti di Santoro né i “sovranisti” rizziani sono riusciti a superare la soglia di sbarramento, mentre l’Alleanza Verdi-Sinistra tallona addirittura la Lega, ormai da tempo in caduta libera: tra i fuorisede AVS è addirittura il primo Partito con il 40%, un risultato che da una parte è indice sicuramente di un orientamento a sinistra dell’elettorato più giovane, sebbene ancora in un’ottica totalmente democratico-borghese.

E dunque, come spezzare questo eterno ciclo? Questo ciclo si spezza spezzando le catene dell’Italia, spezzando i traditori e i nemici del popolo, ma soprattutto spezzando il mostro reazionario dentro ognuno di noi. Si vince spezzando il disfattismo, l’opportunismo, le manie di grandezza e il personalismo. Se riusciamo a spezzare questo mostro dentro di noi, allora si è già più vicini alla vittoria, si è già più vicini al socialismo e si è più vicini alla vera unità tanto millantata.

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