Pochi san che Zamenhof, ebreo di stirpe e di fede (portata in casa principalmente da sua madre, Rozalia Sofer, dato che il padre Mark era un illuminista conclamato), ebbe da dire che non soltanto il progetto d’occupar la Palestina (allora ottomana) sarebbe stato impossibile e ingiusto, ma anche che il talmudismo rabbinico non avesse alcun più motivo d’essere per la sua comunità.
In principio, verso gli anni ’70, egli si trasferì a Mosca pei suoi studî e venne a contatto coi primi circoli pre-sionistici e cogli ambienti letterari russi; collaborò, infatti, con diversi giornali tra i quali il “Russkij Jevrei” (“Ebreo Russo”) e il “Moskovskije Vjedomosti” (“Bollettino Moscovita”).
Su quest’ultimo pubblicò, dietro compenso, alcuni articoli e recensioni di libri tedeschi, firmati con lo pseudonimo “Z.”.
Poco dopo il ritorno a Varsavia nel 1881, fondò il primo circolo sionista della sua città, chiamato “Ibat Sion” (“Gli amanti di Sion”) e partecipò, comparendo in colonna nel settimanale Rasvjet (“Aurora”), al dibattito sulla ricerca di una novella “terra promessa” per gli ebrei. Le possibilità prese in considerazione erano principalmente due: la Palestina o un qualche territorio dell’America, come auspicava inizialmente lo stesso Zamenhof; su questo pubblicò nel 1882, nei primi fascicoli della testata l’articolo intitolato “Infine, cos’è necessario fare?” sotto lo pseudonimo “Gamzefon”.
Pur rigettando la tesi secondo la quale gli ebrei avrebbero dovuto assimilarsi alle altre popolazioni (era il periodo dei pogrom zaristi e delle manifestazioni antisemite in tutta Europa, che si acuiranno specie dopo il caso Dreyfus nel 1894), Zamenhof escluse la Palestina sia perché ritenuta una terra primitiva, considerata santa anche dai cristiani e dai musulmani, sia per il dominio turco sulla regione.
Egli così concluse che la migliore soluzione della questione ebraica consistesse nell’acquistare un qualsiasi territorio disabitato degli Stati Uniti d’America per trasferirvi tutta la comunità nel corso d’un lustro o poco più.
Tale pacifica soluzione fu, tuttavia, smentita di lì a poco dallo stesso Zamenhof, il quale, nell’articolo “Sotto il comune stendardo” (sempre pubblicato sul Rasvjet) suggerì d’evitare inutili divisioni nella comunità e di migrare verso Sion, nella convinzione che per una comunità è necessaria una terra e aver con essa un raccordo storico e non un’idea artefatta. L’influenza del pensiero romantico-nazionalista non l’abbandonò mai, nemmeno quando, preso dell’Esperanto (partito da uno studio per una grammatica yiddish standardizzata), apostaterà in toto dalle sue precedenti tesi e riaffermerà il diritto d’ogni popolo ad autodeterminarsi senz’alcuna ingerenza esterna sul proprio territorio ancestrale.
Nel suo tentativo d’unire tutto quanto il mondo civilizzato attraverso l’Esperanto, infatti, arrivò a ritener che l’antico popolo israelita si fosse ormai estinto e che gli ebrei contemporanei fossero degl’ipocriti, aggrappatisi a una fede che pochi seguivano. Sosteneva pur ch’essi, “incatenati a un cadavere”, erano chiamati a liberarsi dalla Legge mosaica e a sottomettersi soltanto alla cosiddetta “Regola Aurea” (citata, fra gli altri grandi, anche da Gesù), cioè l’emblema dell’universalismo morale:
《Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te!》
Lo smacco finale si ebbe poi nella sua opera “Der Hilelismus”, nel 1901, ov’egli promosse un sistema filosofico di stampo deista e umanista, invenzione sua, ma basata sugl’insegnamenti del saggio rabbino Hillel il Vecchio. L’Hillelismo si sarebbe posto, fortuitamente, come soluzione razionale e contemporanea all’ormai annosa questione dell’enclavismo ebraico, da Zamenhof stesso attribuita esplicitamente al “carattere pseudo-palestinese della loro religione”.