25 aprile

Resoconto degli eventi a Ravenna e dintorni, di Emanuele Fanesi

Negli scorsi giorni in qualità di militante e rappresentante di SOCIT – Socialismo Italico ho avuto modo di partecipare a due eventi per gli 80 anni dalla liberazione d’Italia. Due eventi fra le centinaia che si sono svolte in tutta Italia, o quasi, dato che il governo attuale ha decretato cinque giorni di lutto nazionale per la morte del Papa (manco se fossimo tutti cittadini vaticani…) e pertanto molte giunte comunali, sia di destra che di sinistra, hanno vietato i cortei ed invitato alla sobrietà (sic!). Comunque sia, tornando nel merito, il primo evento si è tenuto la mattina a Ravenna, con presidio e corteo, organizzato dai giovani studenti di OSA e Cambiare Rotta, insieme a Potere al Popolo e nel pomeriggio sono stato invitato a parlare all’Arci Brigante di Pieve Cesato, presso la base delle locali Brigate di Solidarietà Attiva. In entrambi gli interventi ho parlato a nome dell’organizzazione ed ho portato i saluti della Resistenza Palestinese, parlando della mia esperienza in Palestina di circa un anno fa.

Nell’introduzione ho descritto la situazione italiana dopo la sconfitta del nazifascismo, storicamente determinatosi, di 80 anni fa e della sua fine, con la borghesia che ne ha trasmutato l’aspetto e ne ha cambiato tattica. In tutti questi anni siamo stati e continuiamo ad essere in una dittatura euro-atlantico-sionista che va da destra a sinistra, coinvolgendo tutto l’apparato dirigente nei settori della politica, economia, finanza e giudiziario. La cosiddetta dittatura della classe dominante che trova ampi spazi di manovra grazie all’indifferenza di gramsciana memoria della stragrande maggioranza della classe dei dominati. Ho fatto poi il parallelismo con la situazione in Palestina, illustrando sommariamente la situazione di un anno fa e di oggi, mostrando che nel mondo c’è per fortuna chi lotta contro la classe dominante, anche con le armi. Ho narrato di chi sono i veri antisemiti, dell’infondatezza storica del cosiddetto popolo eletto, del genocidio in corso in Palestina e sull’uso strumentale della cosiddetta comunità internazionale per quanto concerne il principio di autodeterminazione dei popoli.

Mi sono così agganciato alla situazione del Donbass che viene liberato città dopo città, mentre l’Italia è da 80 anni colonia del padrone a stelle e strisce che ci usa militarmente e politicamente per dominare tutta l’area mediterranea e l’Europa orientale. Ho esortato a lavorare tutti insieme per risvegliare le coscienze delle masse italiane, così che da masse si possano trasformare in popolo consapevole capace di cacciare i dominanti stranieri e i loro collaborazionisti italiani. Superare le diversità fra le varie organizzazioni socialiste e/o comuniste che rifiutano lo status quo per dar vita ad una nuova Resistenza, così come accade in Palestina dove è eterogenea ma combatte come un sol uomo, per una nuova lotta di liberazione patriottica e di classe! Ho chiuso il mio intervento facendo mia una vecchia canzone, Contessa, nel passaggio in cui dice che se la classe dominante vuole la pace per continuare a far quello che vuole, noi vogliamo la guerra per abbattere la classe dominante!

La Resistenza tradita, di Giovanni Amicarella per ComeDonChisciotte.org

Il 25 aprile è passato in una sordina rumorosa: anche senza adempiere gli inviti alla sobrietà della Meloni per il lutto papale, l’atmosfera generale era tremendamente pacata. Qualche corteo, qualche commemorazione, qualche spicchio festaiolo nel grigio cittadino, ma per la maggior parte degli italiani una giornata come le altre, con qualche locale in ferie e i musei gratuiti in alcune città. A me rattrista, e non sono un sentimentale, vedere tanto menefreghismo per la nostra storia.

Vade retro costituzionalismi e altri feticismi imbecilli mal nascosti, mi riferisco proprio alla negazione della memoria storica che da qualche anno a questa parte sta assassinando lentamente, in uno stillicidio silenzioso, parte delle nostre radici. Perché, che lo si voglia o no, la seconda guerra mondiale ha dato origine al mondo in cui ci troviamo oggi: confini, contraddizioni, geopolitica. Il laboratorio politico degli anni ‘20-’30 dello scorso secolo tutt’ora influenza la nostra vita, nonostante tromboni alterni parlino di superamento e di seguire “qualcosa di più alto”, senza però riuscire mai a dare risposte concrete ai problemi attuali. La nostalgia e la voglia di superamento permeano la società italiana a tal punto che il nostro lessico politico è cristallizzato, basta pensare questo per capire che significato possa avere quella tragedia storica durata anni.

Una nuova bestia rara è emersa prepotentemente nella bolla: i giustificazionisti. Vale a dire coloro che nelle loro pappardelle soporifere riciclate e ri-riciclate sulla Resistenza, che quasi fanno un favore ai fascisti, entrano nel merito della “virtuosa” conduzione della guerra da parte degli Alleati: stupri, sevizie, stermini, bombardamenti e mitragliamenti su obiettivi civili, approfittarsi del momento per spingere donne (e bambine) nella prostituzione, ecc. diventano conseguenze di nostre scelte, o come la pongono loro, “essercela cercata”. Una comoda soluzione di coscienza per provare meno disgusto allo specchio sapendo di appoggiare oggi la stessa creatura unipolare che ha reiterato quello fatto al popolo italiano su decine di altri popoli, negli stessi modi, con la stessa cruenza.

Anche allora portavano la democrazia, facendo a gara coi le truppe di occupazione naziste a livello di disumanità, solo che sembriamo essercelo dimenticato. Oppure abbiamo voluto farlo? Non nasce proprio da questo la retorica secondo cui tutti quegli orrori sono responsabilità indiretta del regime già sconfitto? Comodo, sicuramente. Tutto finito, è stata colpa di quelli che abbiamo processato, anche di quello fatto da gente che ci combatteva contro. Ci rode che quei violentatori siano tornati in patria, abbiano ricevuto tutti gli onori e gli allori possibili ed immaginabili, siano morti di vecchiaia, eppure abbiamo scelto il silenzio, abbiamo preso i soldi per la ricostruzione. Abbiamo venduto l’anima.

Ad alcuni settori della Resistenza la cosa è andata bene, e questo penso sia il tassello fondamentale della grande amnesia del dopoguerra: gli ambienti vicini agli Alleati per ideologia e attitudine si sono impegnati fin da subito per fare argine ai socialisti, in maniera che il paese potesse già conformarsi ad una certa linea e non sviare da essa. L’istillare paura del costante ritorno del fascismo o del consolidamento del movimento comunista ha permesso agli stessi moderati che già avevano chiuso un occhio di chiudere anche l’altro. “Questo non è il paese che volevano i nostri nonni” è una frase che da qualche anno ho sentito dire spesso, non corrisponde però al vero: qualcuno di noi ha nonni che l’hanno attivamente voluta questa strada abbassando la testa, altrimenti non saremmo in questa situazione. C’erano partigiani che hanno lottato per un’Italia libera e non più subordinata ai tedeschi, c’è chi invece, alla fine, non si è dispiaciuto più di tanto ad accettare il nuovo ordine da sottomesso. Parliamone, sì, di Resistenza tradita, ma facciamolo senza peli sulla lingua, perché non è solo dibattito storico: sono fondamenta che continuano ad avere conseguenze.

Basti vedere chi, applicando gli stessi distinguo, si dice antisionista ma svilisce la Resistenza palestinese sulla base di falsità, si dice contro il nazismo ma si strugge per Azov, si dice contro l’imperialismo ma ha festeggiato per la caduta di Assad. Qualcuno è degno nipote degli stessi nonni.