
Comunicato dell’organizzazione a cura di Risorse Rosse, segue approfondimento a cura di Maria Morigi
In Nepal ventenni e trentenni sono scesi in piazza per protestare contro il blocco dei social non ufficialmente registrati nel paese. Le manifestazioni si sono trasformate in violenza diretta contro tutti i partiti al Governo e nel Parlamento, anche contro i comunisti. Alla rivolta ha partecipato il partito pro-monarchico.
Il Nepal ha attraversato una fase violenta di transizione dalla Monarchia alla Repubblica e al momento attuale il Partito Comunista del Nepal (Marxista Leninista Unificato) è il secondo partito nella coalizione di governo posta sotto attacco mediatico e fisico con accuse di corruzione, specie dopo la risposta indecisa al terremoto del 2015.
Nonostante riconosciamo (e facciamo nostro pilastro) il diritto dei giovani a rivoltarsi se le loro condizioni materiali peggiorano, senza il coordinamento e la guida di un partito di avanguardia disciplinato, queste azioni spontanee possono essere coinvolte negli schemi espansionistici dell’Impero americano.
Le ONG anti governative e anti socialiste, tra cui la Hami Nepal, hanno subito un duro colpo dalla fine di ogni programma USAID da parte di Trump.
La stessa Hami è supportata dalla National Endowment of Democracy (tramite il progetto anti cinese Free Tibet), dall’esercito nepalese e dalla Coca Cola, la quale monopolizza il mercato idro-alimentare nepalese e adocchia le riserve d’acqua dolce dell’Himalaya.
Il SOCIT condanna la direzione antisocialista, spiccatamente anticinese e filoamericana delle proteste e ribadisce che solo una forte presa di posizione ideologica può guidare la gioventù globale verso la liberazione di tutte le nazioni del pianeta dal capitalismo cancerogeno e assimilatore di Washington.
Nepal in fiamme tra induismo, maoismo e rabbia della Generazione Z, di Maria Morigi per opinione-pubblica.com
Quelli che manifestano e protestano hanno perso fiducia verso il sistema politico repubblicano, ma non si capisce da chi siano manovrati e organizzati né quali siano i loro obiettivi nel breve periodo.
Ci sono luoghi sul tetto del mondo che sfuggono ad ogni credibile analisi geopolitica e si riesce solo a raccontarli per le loro bellezze storico-culturali e di paesaggio. Uno di questi è il Nepal.
Oggi il Parlamento nepalese è in fiamme e il Paese sprofonda nel caos della crisi con le dimissioni del Primo Ministro, KP Sharma Oli, a seguito di massicce proteste. Tra i leader che si sono dimessi: il ministro degli Interni, il ministro dell’Agricoltura, il ministro della Gioventù e dello Sport, il ministro dell’Acqua.
Le dimissioni arrivano mentre i manifestanti, spinti dalla rabbia della cosiddetta Generazione Z (ragazzi nativi digitali tra i 22 e i 27 anni), continuano a sfidare il coprifuoco e a scontrarsi con le forze di sicurezza. Protestano contro corruzione governativa e nepotismo. La popolazione è infuriata per la circolazione di video che mostrano lo stile di vita lussuoso dei figli dei politici. “Fermate la corruzione, non i social media”, canta la folla fuori dal Parlamento sventolando bandiere nazionali. I disordini, infatti, sono stati innescati dal recente blocco imposto dal governo di 26 piattaforme social, incluse Facebook, Instagram e YouTube. Il divieto è stato revocato nelle prime ore del 9 ottobre, ma le proteste erano già diventate un massacro con almeno 20 manifestanti uccisi dalla polizia e più di 250 i feriti. In assenza di una leadership politica, l’esercito nepalese ha preso in mano la situazione per gestire la sicurezza.
Ma è tutta la recente storia del Nepal – Repubblica dal 2008 – ad essere una tragedia. E ricordiamo che il Nepal era, fino al 2006, l’unico Stato al mondo ad adottare l’induismo come religione ufficiale (1).
Con il supporto dell’India negli anni 1947 – 1951 il Movimento Democratico (Loktantra Andolan ) rovesciò il potere ‘feudale’ della famiglia Rana, consentendo al re Tribhuvan il ritorno dall’esilio. A questi succedette il figlio Mahendra che nel 1962 bandì i partiti politici ed instaurò il sistema di governo tradizionale nei paesi induisti dei Panchayat (“Consigli dei cinque”) senza partiti. Il successivo sovrano Birendra fu costretto dalle proteste popolari del 1990 a concedere le elezioni.
Dal 1996 al 2006, la guerra civile ha causato circa 13.000 morti.
Nel 2001 avvenne la sanguinosa strage – scatenata dal figlio di re Birendra – dell’intera famiglia reale. Gyanendra Bir Bikram Shah Dev, fratello minore di Birendra, fu tra i pochi sopravvissuti al massacro e salì al trono. Nel 2005 il sovrano licenziò il governo ed assunse direttamente il potere esecutivo, cui rinunciò l’anno seguente a causa di una nuova ondata di malcontento popolare del Loktantra Andolan che collaborò con il movimento rivoluzionario di ispirazione maoista. I maoisti espulsero i partiti vicini alla monarchia, espropriando i ‘capitalisti’ locali e realizzando progetti di sviluppo. La guerriglia maoista rafforzò la sua popolarità presso settori della società (donne, caste e ‘intoccabili’, minoranze etniche) sia eliminando le discriminazioni e i matrimoni forzati, sia fornendo assistenza sanitaria gratuita e alfabetizzazione (a Kathmandu tuttavia continuano a mancare le fognature e ad ogni pioggia le vie diventano fiumi di fango!).
Dopo una lenta transizione verso una forma democratico-repubblicana, nel 2006 i maoisti e il governo raggiunsero un accordo per una Costituzione provvisoria, aprendo Governo e Parlamento anche ai ribelli maoisti che ormai avevano deposto le armi. La legislatura ad interim ha portato all’elezione di un’Assemblea Costituente. Nel 2007 gli ex ribelli maoisti e i partiti si sono accordati sulla definitiva abolizione della monarchia e venne approvato dal Parlamento un emendamento costituzionale per trasformare il Nepal in Repubblica parlamentare e federale. Alle elezioni del 10 aprile 2008 è stata confermata la vittoria della coalizione maoista-marxista-leninista e il 23 maggio 2008 è stata proclamata ufficialmente la Repubblica del Nepal e la laicità dello Stato.
Il 28 ottobre 2015 (anno del violento terremoto- 25 aprile) il Nepal ha la sua prima donna presidente, Bidya Devi Bhandari, già vicepresidente del CPN (ML) Communist Party of Nepal-Unified Marxist Leninist. Proposta dall’ex capo dei maoisti, Pushpa Kamal Dahal, e da un largo fronte della sinistra, Bhandari ha sconfitto il rivale del partito conservatore del Congresso nepalese. Il voto comunque è stato boicottato dai madhesi, l’etnia che vive nella fascia meridionale confinante con l’India e che si è opposta con violente proteste alla nuova Costituzione varata il 20 settembre 2015 in cui ha avuto un importante ruolo Bhandari.
Il mandato di Bhandari si è concluso nel 2023. Ram Chandra Paudel candidato del Congresso nepalese e dell’ alleanza di 10 partiti, è stato eletto Presidente il 9 marzo 2023.
Eppure i “sommovimenti sismici” del Nepal (che ancora non ha le fogne) continuano: già da qualche anno si è consolidato un movimento monarchico che organizza periodicamente manifestazioni di piazza e, in un mix esplosivo, rimesta istanze politiche, richieste sociali, aspirazioni religioso-sciamaniche e nostalgie per il colonialismo britannico.
Appena il 9 marzo scorso circa 10 mila persone si sono radunate all’aeroporto Tribhuvan di Kathmandu per accogliere l’ex re Gyanendra Bir Bikram Shah Dev che governò tra il 2001 e il 2008 e che abdicò in seguito alle proteste di massa. La capitale è diventata così teatro di scontri tra sostenitori della restaurazione monarchica e polizia: 2 morti e 41 feriti. I monarchici accusano i partiti politici governativi (specialmente i maoisti) di corruzione e chiedono a gran voce l’abolizione della laicità statale e la reintroduzione dell’induismo come religione di Stato. Ciò che impressiona è che questi tradizionalisti in rivolta considerino tuttora l’ex sovrano una manifestazione (avatar) del dio Vishnu.
Quelli che manifestano e protestano hanno perso fiducia verso il sistema politico repubblicano, ma non si capisce da chi siano manovrati e organizzati né quali siano i loro obiettivi nel breve periodo… sembrerebbe una rivoluzione colorata a rovescio o dipinta male. E certamente le nostre categorie di destra e sinistra, conservazione e rivoluzione, libertà democratica e di religione, risultano del tutto scombinate.
Per capire il Nepal, forse è necessario – come per capire l’India – ricorrere ad altri parametri di osservazione antropologica ed etnografica, poiché persino le lodevoli inchieste sui Diritti Umani sono costrette a prendere atto di una realtà sociale lontanissima dalle categorie indicate dalle N-U.
Nota (1) La maggioranza della popolazione professa l’induismo, il 20% circa pratica il buddhismo della corrente tibetana Vajrayana. In alcune aree rurali si praticano la religione Bön (forma di sciamanesimo pre-buddista) e l’animismo (religione dei Kiranti).