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Di Leonardo Bellucci

Gli eventi recenti avvenuti fra Israele, USA e Iran hanno spostato l’attenzione dei mezzi di comunicazione sulle guerre in Medio Oriente, tuttavia anche se non se ne sente più parlare come qualche settimana fa, le proteste a Los Angeles non accennano a diminuire, al contrario per le strade della California si riversano fiumi di persone, sventolando bandiere messicane accanto a cartelli sindacali. La città più popolosa della California è di nuovo al centro di un conflitto che unisce passato e presente, diritti civili e condizioni di lavoro, identità culturale e repressione statale.

Negli ultimi giorni, l’ondata di proteste è esplosa a seguito di una serie di raid condotti da ICE e CBP in quartieri a maggioranza latinoamericana. La scintilla, secondo attivisti locali, è stata l’arresto violento di Narciso Barranco, un giardiniere disarmato, avvenuto nella periferia di Santa Ana. Le immagini diffuse online mostrano agenti in assetto da guerra immobilizzarlo a terra, scatenando una reazione immediata in tutta la contea.
Ma a differenza di proteste precedenti, questa volta le ragioni non sono solo legate alla politica migratoria. Sindacati come SEIU, gruppi come CHIRLA, e altri movimenti locali hanno trasformato la protesta in un momento di mobilitazione collettiva anche per i diritti del lavoro, contro la precarizzazione e la criminalizzazione dei lavori svolti per lo più dai Messicani.

Una resistenza che parte dal lavoro

Molti degli arresti operati durante i raid federali sono avvenuti direttamente nei luoghi di lavoro: magazzini, cantieri edili, ristoranti, laboratori tessili. Luoghi dove, spesso, le tutele sono nulle e i diritti sindacali inesistenti.
David Huerta, presidente del SEIU California, è stato arrestato mentre tentava di proteggere un gruppo di lavoratori. Per molti, la sua immagine in manette è già diventata un simbolo.
Il clima nelle strade è stato descritto come una miscela di rabbia e orgoglio. Ai cortei hanno partecipato studenti, veterani, madri con bambini e artisti locali. In molti casi, la protesta ha assunto la forma di performance culturale: gruppi mariachi e danzatori folklorici si sono esibiti in piazza come gesto di resistenza e affermazione culturale.

Il peso della memoria storica

La mobilitazione latinoamericana in California ha una lunga genealogia. Dalle East L.A. Walkouts del 1968 al Chicano Moratorium del 1970, fino alle campagne dell’UFW con César Chávez e Dolores Huerta, la difesa dei diritti dei lavoratori e della comunità messicana è sempre stata intrecciata con una lotta per la dignità e la rappresentazione.
È quindi evidente che si tratta di qualcosa che va ben oltre la politica condotta da Trump o dal suo vice J.D. Vance, è un sentimento di rabbia radicato soprattutto nei “Chicanos”, ovvero negli statunitensi discendenti dei messicani, insediatisi in quei territori prima che fossero usurpati dagli yankee nel XIX secolo, gli stessi che oggi compongono l’attuale Sud degli Stati Uniti.
Ciò è evidente dall’abbondante utilizzo delle bandiere messicane, che ha suscitato polemiche tra esponenti conservatori, e che è stato rivendicato dai manifestanti come un atto di orgoglio e connessione storica. O come dichiarato un attivista, “il simbolo di chi siamo, da dove veniamo, e del perché siamo qui.”

La posta in gioco

La militarizzazione di Los Angeles, con l’arrivo di migliaia di soldati federali, ha sollevato tensioni istituzionali tra lo Stato della California e l’amministrazione federale. Il governatore Gavin Newsom ha denunciato “una deriva autoritaria”, mentre la sindaca Karen Bass ha invocato “la fine delle ostilità nei confronti della nostra comunità”.

Tuttavia, per molti lavoratori latinoamericani, la repressione non è un evento straordinario, ma un’estensione quotidiana della loro condizione: invisibili quando producono, ipervisibili (e sgraditi) quando protestano.
E ciò è possibile evincerlo anche dalle dichiarazioni di Trump durante il dispiegamento della Guardia Nazionale. Elogiandone il lavoro ancor prima che questo corpo militare fosse impiegato contro le proteste.

Cosa resta

È ancora troppo presto per misurare gli effetti di queste proteste, ma alcuni segnali sono chiari: nuove reti di solidarietà stanno emergendo, le alleanze tra comunità latinoamericana e movimenti sindacali si stanno rafforzando, e la memoria storica sta tornando al centro del discorso pubblico.
In fondo, come scriveva l’intellettuale chicano Rodolfo Acuña: “Ogni rivolta non inizia dal nulla. Ha radici. E le radici, in California, sono profondamente messicane.”