epa10457073 Ukrainian President Volodymyr Zelenskiy speaks with Italy's Prime Minister Giorgia Meloni during a bilateral meeting with EU leaders, part of the European leaders summit in Brussels, Belgium, 09 February 2023. EU leaders will meet in Brussels on 09 and 10 February for a summit to discuss Russia's invasion of Ukraine, the EU's economy and competitiveness, and its migration policy. EPA/JOHANNA GERON / POOL

Di Lorenzo Maffetti

L’attuale situazione politica

Il governo Meloni, insediatosi il 22 ottobre dello scorso anno, attualmente in carica, che ha formato una maggioranza assoluta di centrodestra convogliando al suo interno, oltre a Fratelli d’Italia, anche Forza Italia e Lega (più altri partiti minori), quanto alla posizione dell’Italia in Europa, nell’Alleanza Atlantica e nella guerra in Ucraina ha raccolto l’eredità del precedente esecutivo, rincarando la dose dal primo momento fino ad ora. Giorgia Meloni e i suoi hanno ribadito a più riprese, dapprima, il sostegno all’alleanza atlantica come base del suo governo – poco prima di insediarsi ufficialmente, dopo aver vinto le elezioni, ha detto: “Con la Nato o il governo può anche non nascere”; e in più, questo è stato anche il discrimine per stabilire che avrebbe potuto prendere parte al governo e chi no. Sempre lei, infatti, ha detto: “Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara: intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile. L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo” -, poi il sostegno alla causa di Kiev. A colloquio con Biden, durante il G20 di novembre tenutosi a Bali, tra le diverse questioni trattate, anche quella dell’alleanza transatlantica e dell’appoggio indiscriminato all’Ucraina (https://www.rainews.it/articoli/2022/11/meloni-a-colloquio-conbiden–c62c779c-fefb-49df-8961-c6d2b293734b.html).

Ci viene in aiuto uno spezzone tratto dal PDF pubblicato dall’Istituto Affari Internazionali, che chiarifica in maniera sintetizzata quanto già noto: “Il nuovo governo italiano subentrato a ottobre sotto la guida della premier Giorgia Meloni ha proseguito la politica di Draghi rispetto alla guerra in Ucraina” 3 . In tal senso una delle prime mosse del nuovo governo è stata la proroga dell’invio di armi ed equipaggiamenti militari all’Ucraina: nel e con il CDM del 2 dicembre, al quale serviva il voto di approvazione delle due aule del Parlamento, arrivato il 13 dicembre, con cui si stabilisce la proroga senza che ogni pacchetto di armi inviate passi attraverso la discussione del Parlamento. Gran parte della Camera e del Senato, salvo il Movimento 5 Stelle – che lo scorso anno aveva però optato di parteggiare per la politica estera condivisa all’unanimità dal precedente governo e dall’opposizione -, prima e l’11 gennaio, giorno in cui “L’Assemblea ha approvato il ddl 389, conversione in legge del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185, recante disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell’Ucraina”, ha votato a beneficio della linea del governo. Come riporta un grafico di openpolis.it, con le dovute accortezze del caso, tutto l’equipaggio destrista presente ha votato a “Sì” (74/74 FdI, 38/38 Lega e 24/24 FI), quello democratico (51/52, un solo voto contrario) e centrista idem (Azione-Italia Viva 24/24, Noi Moderati 7/7), segue poi a questi una parte del “Gruppo Misto” (6/6); contrari in toto, invece, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra (37/37 e 8/8 per il “No”). Queste sono le stime di una votazione antecedente di qualche giorno a quella dell’11 gennaio, nella quale a mancare erano ben 138 parlamentari. Nonostante questo, resta chiaro qual è l’imperativo categorico di governo e (una parte) opposizione: proseguire sulla stessa linea di politica estera di Mario Draghi, continuando a dar corda all’Unione Europea e al manicheismo a stelle-strisce.

I costi della guerra

I costi della guerra Partiamo da una premessa: quantificare il costo totale delle armi e dei mezzi di sussistenza inviati dall’Italia all’Ucraina (dal primo all’ultimo pacchetto di armi e mezzi) non è semplice, e le stime possono essere imprecise, perché i documenti che indicherebbero il materiale bellico fornito sono secretati per decreto. Verso la fine di gennaio il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto in un’intervista al Corriere della Sera che “L’Italia ha già fornito all’Ucraina 5 pacchetti di aiuti nel campo della difesa per circa 1 miliardo di euro”. Il 21 marzo in Aula la Premier ha detto: “Giudico puerile la propaganda di chi racconta che l’Italia spende soldi inviando armi sottraendo risorse alle necessità degli italiani, è falso e in questa Aula lo sappiamo tutti. L’Italia sta inviando armi di cui è già in suo possesso e che per fortuna non dobbiamo utilizzare, e le inviamo anche per tenere lontana la guerra da casa nostra. Raccontare agli italiani il contrario è una menzogna che intendo chiamare col suo nome”. Sono due discorsi in netta contraddizione tra di loro, anche per via della distanza temporale, e del fatto che in questo governo ci sono esponenti che ne dicono una e altri che ne raccontano un’altra, ma andiamo con ordine. In un articolo sempre del Corriere della Sera risalente al 25 gennaio è riportato un discorso del Ministro della Difesa Crosetto, che, in continuità con l’enunciazione di Tajani e in contraddizione con quanto dirà la Premier circa due mesi dopo, rilancia la necessità di riempire le scorte: “L’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina è un aiuto che ci impone di ripristinare le scorte che servono per la Difesa nazionale“. Queste parole vanno inscritte nel progetto di rafforzamento della Difesa e di aumento delle spese militari fino al 2% del PIL. A quanto pare una spesa effettiva c’è (se prendiamo le parole di Tajani) oppure dovrà esserci (se prendiamo le parole di Crosetto); e a questo punto del ragionamento, possiamo dire che la Premier si sia completamente sbagliata nel dire che non verranno sottratti soldi agli italiani, dacché il ripristino delle scorte militari non sarebbe servito se l’Italia non avesse inviato armi all’Ucraina e si fosse limitata, se non a porsi come garante della pace, quantomeno agli aiuti umanitari e civili per la popolazione ucraina colpita.

Non è tutto: Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, ha riportato le richieste avanzate dai Capi di Stato Maggiore dell’Esercito per nuove armi, al fine sia di rimpinguare i magazzini sia di ammodernare diversi mezzi e velivoli già in nostro possesso, e ha stimato il costo totale di queste richieste in 25 miliardi di Euro, che il Ministro Crosetto non si farebbe problemi a stanziare gradualmente, anche e soprattutto alla luce delle recenti richieste da parte di Jens Stoltenberg agli aderenti alla NATO di aumentare le spese militari fino al 2% del PIL. Il calcolo della spesa a cui le casse italiane hanno dovuto sottoporsi dal 24 febbraio 2022 fino ad oggi va iscritto nella macro-area delle spese militari e/o per la Difesa sia dell’Europa sia delle principali potenze mondiali. Questo perché in un quadro di valutazione oggettiva delle forze in gioco, oltre alle dichiarazioni dei “potenti” di ogni Stato, il mezzo principale per desumere su quale strada gli stati stanno camminando è quello di vedere dove sono direzionati gli investimenti, in modo tale che dalla “somma” tra “pratica” (investimenti e azioni in genere) e “teoria” (dichiarazioni e propaganda), o – per meglio dire – tra prassi e parole, si ricavi la linea geostrategica delle potenze mondiali. I dati ricavati sono oggettivi, frutto di una ricerca scientifica condotta da dipartimenti che si occupano ad hoc di effettuare questi calcoli. Partiamo da una ricerca 9 condotta dal SIPRI, “Stockholm International Peace Research Institute” , uscita il 24 aprile di quest’anno sulle spese militari globali nel 2022. Il preambolo all’articolo è subito esemplificativo: “La spesa militare globale totale è aumentata del 3,7% in termini reali nel 2022, raggiungendo un nuovo massimo di 2240 miliardi di dollari”.

Poi scopriamo che oltreoceano le spese – da relazionare alla guerra tra Russia ed Ucraina – sono enormi e fanno presagire un loro aumento nei prossimi anni, dovuto alle continue frizioni tra potenze e blocchi geopolitici contrapposti. Infatti: “Gli Stati Uniti rimangono di gran lunga il più grande investitore militare del mondo. La spesa militare degli Stati Uniti ha raggiunto gli 877 miliardi di dollari nel 2022, pari al 39% della spesa militare globale totale e tre volte superiore all’importo speso dalla Cina, il secondo più grande spender mondiale. […] L’aiuto militare finanziario degli Stati Uniti all’Ucraina ha totalizzato 19,9 miliardi di dollari nel 2022. Sebbene questo sia stato il più grande importo di aiuti militari fornito da qualsiasi paese a un singolo beneficiario in un anno dalla guerra fredda, ha rappresentato solo il 2,3% della spesa militare totale degli Stati Uniti. Nel 2022 gli Stati Uniti hanno stanziato 295 miliardi di dollari per operazioni militari e manutenzione, 264 miliardi di dollari per appalti, ricerca e sviluppo e 167 miliardi di dollari per il personale militare.”

19,9 miliardi di dollari donati dagli USA all’Ucraina solo nel 2022, che ora sono aumentati. Il giornale Open, in un articolo 10 del 9 aprile, porta un’intervista al capo economista del Kiel Institute for the World Economy, specializzato nel tenere traccia degli aiuti militari e non all’Ucraina da parte dei paesi allineati. “Al 24 febbraio 2023, spiega a Open l’economista dell’Istituto Stefan Schramm, «il totale relativo ai 40 Paesi e alle istituzioni dell’Ue ammonta a quasi 157 miliardi di euro». Questo importo, sottolinea mostrandoci l’ultima rilevazione terminata il 4 aprile, «può essere suddiviso in 72 miliardi di euro di aiuti finanziari, 13 miliardi di aiuti umanitari e 72 miliardi per quelli militari». Cifre che sono state promesse direttamente a Kiev dai governi di 40 nazioni, in particolare gli Stati membri e le Istituzioni dell’Ue, quelli del G7, che comprendono tra gli altri Stati Uniti e Canada, nonché Australia, Corea del Sud, Turchia, Norvegia, Nuova Zelanda, Svizzera e India.”. Tenendo conto della presenza di altri paesi all’infuori dell’Unione Europea, i conti parrebbero tornare. Infatti nel recente documento – “EU SOLIDARITY WITH UKRAINE” – redatto e pubblicato dalla Commissione europea circa il quantitativo di denaro speso per l’Ucraina in aiuti finanziari, militari ed umanitari, risulta che l’Unione Europea abbia speso 70 miliardi di euro, una cifra che – tenendo conto delle premesse nell’articolo de’ L’Indipendente Online – potrebbe essere anche superiore di alcune volte rispetto a quella riportata. In testa alla fila dei donatori vi sono gli Stati Uniti, a fronte del grande interesse a stelle e strisce nel fronteggiare la Russia (e la Cina), con una spesa di 70 miliardi di dollari, stando all’articolo di Open. Poi “Dopo gli Usa – in termini di sostegno a Kiev – seguono i 27 Stati membri e le Istituzioni dell’Unione con oltre 61 miliardi di euro
totali: 26 provenienti dai singoli Stati membri; 35 miliardi attraverso la Commissione e il Consiglio europeo (29,93), il Fondo europeo per la pace (3,60) e mediante la Banca europea degli investimenti (2 miliardi)
. L’articolo è del 9 aprile e la pubblicazione della Commissione Europea sul totale del denaro inviato a Kiev di fine maggio. Tornando alla ricerca del SIPRI, “La spesa militare degli stati dell’Europa centrale e occidentale è stata di 345 miliardi di dollari nel 2022. In termini reali, la spesa di questi stati per la prima volta ha superato quella del 1989, mentre la guerra fredda stava finendo, ed è stata del 30% superiore a quella del 2013. gli stati hanno aumentato significativamente le loro spese militari in seguito all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, mentre altri hanno annunciato piani per aumentare i livelli di spesa per periodi fino a un decennio”. Questa non deve però essere un’accozzaglia di cifre. In realtà c’è un filo logico (oggettivo) che collega tutto ciò.

Dalla parte dei paesi europei della NATO e dell’Unione c’è il mantenimento delle relazioni con gli Stati Uniti, forse di fronte alla loro “onnipotenza”; mantenimento che li spinge a stanziare fondi militari piuttosto alti per questa guerra, che apparentemente potrebbe anche aver stufato diversi leader europei. Dalle fonti utilizzate risulta soprattutto che, rispetto ai fondi stanziati invece dai singoli stati membri per fronteggiare le varie crisi, quelli stanziati in aiuti militari siano infinitamente minori e che il materiale bellico arrivi spesso in ritardo. Non c’è da parte dell’occidente la pretesa di farla finita con questa guerra e respirare un momento divincolandosi dagli Stati Uniti. Se ci fosse stata, allora Macron avrebbe tenuto fede alle parole che pronunciò diverse settimane fa, secondo le quali la Francia e l’Europa avrebbero dovuto sciogliere la vincolazione agli USA riaffermandosi come Terzo Polo nello scacchiere geopolitico mondiale, e avrebbe agito cambiando casacca, da co-belligerante contro la Russia a garante della pace. Ma questo non è accaduto. Questo discorso si può estendere anche alla Germania. Infatti sembra che ai vertici berlinesi sappiano perfettamente che a far saltare il gasdotto Nord-Stream 2 siano stati gli statunitensi attraverso gli ucraini, o direttamente i primi, ma tacciono per motivi di sicurezza nazionale, come ha recentemente detto il Cancelliere Olaf Scholz. Oltretutto, la Germania è entrata anche in recessione economica e non si può di certo negare che a questa situazione infausta abbia contribuito la distruzione del ponte energetico tra Europa e Russia. Ma il problema principale risiede soprattutto nei vertici di Bruxelles: i varii Von Der Leyen, Stoltenberg, Borrell, ecc. non sono dei pacifisti e infatti hanno tutti quanti rifiutato il trattato di pace proposto dalla Cina qualche mese fa, che ora si sta ponendo nel mondo come una potenza diplomatica che punta a risolvere il conflitto in Ucraina intercedendo per la pace. Ma alle pretese del Dragone – che negli anni ha aumentato le sue spese militari – corrisponde un secco “no” da parte dell’Occidente e degli Stati Uniti. Evidentemente da parte di alcuni stati europei – eccezion fatta per quelli limitrofi alla nuova “cortina di ferro” , come gli stati baltici e la Polonia, poi l’Italia e altre roccaforti anti-russe – esiste un certo timore verso lo sganciamento dall’agenda Biden. Ma, come abbiamo visto, questo timore è stato essenzialmente affrontato indietreggiando dopo determinate dichiarazioni d’intenti e genuflettendosi completamente alla linea unica dell’asse occidentale. Ora, dopo questi dati, torniamo all’Italia per concludere. Come si era detto sopra, ricavare il totale della spesa italiana non è semplice e per questo motivo ogni calcolo diviene approssimativo e probabilmente per avere un conto certo dovremo attendere in futuro che il COPASIR annunci quali armi sono state donate dallo Stato italiano all’Ucraina; anche se dobbiamo tenere in conto che le armi donate – eccezion fatta per il sistema di difesa “Samp-T” , nuovo di zecca – erano un surplus rispetto alle scorte effettive. Ciò non toglie che, come aveva detto il Ministro Crosetto, di cui sopra, sia necessario un ripristino delle scorte militari, per un costo al momento inquantificabile. Anche le scorte in surplus, però, sono destinate a terminare, prima o poi. E per quello che richiede l’UE, può essere plausibile che con il proseguire del conflitto l’Italia dovrà avvalersi delle proprie scorte qualora le altre finissero. Intanto – ecco un altro elemento che si aggiunge e che, per ovvi motivi, non può essere inserito nel computo totale del costo – il Ministro Crosetto ha appena approvato il settimo invio di armi. L’Osservatorio per le Spese Militari “Milex” , con un articolo a cura di Francesco Vignarca, risalente al marzo 2023 ha provato a quantificare il costo. Partendo da una cifra ipotetica di 500 milioni di Euro – perché ad inizio 2023 Tajani aveva affermato che l’Italia avesse speso un miliardo e, al contempo, l’Istituto Kiel calcolò per l’Italia un costo di 350 milioni di Euro – dobbiamo calcolare che l’Italia partecipi all’Europa Peace Facilità, il Fondo Europeo per la Pace, che – dice Milex – nel febbraio 2023 ha raggiunto 3,6 miliardi di euro complessivi, e vi contribuisce donando il 12,8% del totale degli stanziamenti richiesti, con una restituzione del 50%. In via ipotetica ed esemplificativa, se l’UE decide che dovranno essere stanziati 100 milioni di euro dai paesi membri per l’EPF e l’Italia vi contribuisce per la cifra suddetta, dovrà stanziare 128.000 €, la metà dei quali (64.000 €) saranno restituiti. Ma se i fondi richiesti incrementano, allora incrementa anche la cifra che l’Italia dovrà stanziare e ritarda pure il meccanismo per il rimborso mozzato ai donatori. Borrell nel marzo ha annunciato un piano per l’incremento della produzione delle munizioni in due tranche da 1 miliardo di Euro, a cui l’Italia contribuirà. Dunque rispetto a febbraio – in cui i fondi dell’EPF erano 3,6 miliardi – vi è stato un aumento notevole.

Arriviamo ora al calcolo dell’Osservatorio Milex, che stima in 838 milioni la spesa dell’Italia e in oltre 950 milioni in prospettiva. In un articolo recente l’ANSA riporta l’intenzione di Borrell di alzare ancora il tetto dell’EPF di altri 3,5 miliardi di Euro. Al contempo Borrell ha detto che grazie al Fondo siano stati mobilitati 10 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina. Non è affatto facile – e a tratti può sembrare fuorviante – impelagarci in un altro conto che tenga a mente queste nuove dichiarazioni, dunque ci fermeremo qua, e probabilmente, se altro verrà fuori, ci sarà un proseguimento.

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