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All’evento tenutosi il 22 marzo a Roma, organizzato dall’Associazione Indipendenza insieme a Fronte per la Sovranità Popolare e noi del SOCIT – Socialismo Italico, sono stati trattati svariati temi di grande importanza sia per l’attualità e sia per una vera e propria concezione dell’importanza della Cultura, dell’istruzione, dello sviluppo sociale e della rinascita degli individui e dell’Italia; in particolare l’intera discussione si è svolta su tematiche di cruciale importanza sia per l’intero corpus sociale italiano e, più precisamente, per la sua gioventù e “classe docente”: la missione 4 del PNRR, il ruolo dell’Unione Europea e del governo italiano nella gestione dei prestiti e degli investimenti in materia scolastica, la decadenza in primis culturale e in secundis scolastica nel nostro paese e il ruolo dei giovani, degli insegnanti e dei genitori nella lotta a questo sistema fallace.

Noi del SocIt abbiamo partecipato sia in veste di attivi ascoltatori e sia con due interventi portati avanti da Enea Stella e Ivan Branco.
Nel primo intervento si è parlato di come i fondi destinati alla missione 4 del PNRR, e in particolare, all’istruzione e alla cultura non solo contengono una cifra irrisoria per una seria riforma “strutturale” e infrastrutturale delle scuole e delle università (i soldi ammontano circa a 31,9 miliardi di euro), ma c’è anche il serio pericolo che una parte di questi fondi (pari a 3 miliardi di euro) non possa più esserci prestata; a ciò poi vanno uniti altri due dati: siamo al 22° posto fra i paesi dell’UE per spesa nell’istruzione (che ammonta al 2% dei fondi governativi) e, come se non bastasse, persino il divario nella qualità e nelle spese per la scuola fra nord e sud della Penisola sta sempre più aumentando, come stanno aumentando anche i costi per studenti e insegnanti del materiale scolastico (es. i manuali e i libri universitari).
Oltre a tutto ciò, è stato anche sottolineato il fatto che gli ambienti scolastici e universitari (a causa anche della recente pandemia di Covid-19) non siano più un vero e proprio luogo di costruzione e sviluppo cultura e nemmeno di aggregazione sociale fra i giovani e gli insegnanti: ciò è dato sia dalla competizione, dal classismo e dai favoritismi in tali ambienti che recano danno allo sviluppo di una giusta e vera meritocrazia e sia dal fatto che la Cultura non è già più sinonimo di conoscenza, di pensiero critico ed esercizio spirituale, ma di puro pragmatismo economicistico e mercanteggiante.
Inoltre, non solo le basse spese, la mancanza di un vivo richiamo verso la Cultura, la socialità e il futuro, ma anche gli stessi metodi d’insegnamento non sono più adeguati per le nuove generazioni di studenti: il costante stress e le pressioni sociali non fanno altro che portare i ragazzi e le ragazze all’esasperazione che, in molti casi, si traduce anche in forme molto gravi (un caso che possiamo citare è quello della depressione, sempre più diffusa fra i giovani).
Dunque, per far si che questa situazione cambi, non è necessario solo qualche piccolo investimento o qualche riformuccia (come quella dei 60 CFU) per cambiare la situazione, ma serve invece che quest’ultima venga proprio ribaltata da uno stato che si faccia carico di rifondare completamente le basi sia della Cultura stessa e sia, di conseguenza, della sua ramificazione ed espressione nella società e negli uomini tramite una nuova forma di scuola e di istruzione.

Gilberto Trombetta e Danilo Zuccalà (FSP), Enea Stella (SOCIT), Francesco Labonia (Indipendenza)

Nel secondo intervento è stato marcato un altro aspetto di tutta la vicenda attuale ed eterna che concerne la Cultura e la società: l’importanza dell’insurrezione, della gioventù e della giovinezza come esseri dinamici e irruenti, nonché rivoluzionari, portatori dunque di una totale Kulturkampf che sia rivolta sia al risveglio degli spiriti, delle menti e dei corpo dei singoli e sia di tutto il corpus nazionale.
In sintesi, una stoccata e una provocazione allo status quo, una stoccata che prende una forma altamente primordiale e ardente: quella poetica.

In un periodo in cui l’istituzione scolastica, non solo come luogo di cultura, ma anche come luogo di formazione e indirizzamento per i giovani lavoratori del domani, ha raggiunto un grado tale di disorganizzazione, di disinteresse per sé stessa e, dunque, di una lenta ma sempre più inesorabile decomposizione, è più che necessario cercare di ridare a tale istituzione l’importanza ideale e pratica di cui essa necessita per la sua rinascita e, di conseguenza, anche per la rinascita intellettuale, spirituale, sociale, economica e politica dell’Italia e degli italiani del futuro.
Ad oggi, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), piano di investimenti approvato dal governo nel 2021 e derivato dal più grande piano di aiuti stanziati dall’UE (Recovery Fund) per la ripresa delle economie dei suoi membri dopo la pandemia di Covid-19, l’Italia sta cercando di porre un rimedio sia per l’arretratezza del materiale scolastico (tramite una serie di investimenti mirati) e sia per la disorganizzazione della burocrazia e del corpo docenti (tramite una serie di riforme “infrastrutturali” del sistema scolastico).
Ma questi investimenti diretti esclusivamente verso la cultura e l’istruzione e queste riforme che, idealmente, dovrebbero riportare la nostra nazione ai livelli minimi delle medie riguardanti la competitività economica e lo sviluppo intellettuale della popolazione degli stati europei e dell’UE, e puntando poi anche a un miglioramento futuro di questi settori, stanno servendo veramente a qualcosa? Problemi riguardanti l’iperburocraticizzazione, il favoritismo sociale ed economico all’interno del sistema universitario, le difficoltà dei ragazzi nel portare avanti i loro studi e le loro aspirazioni in serenità e le altrettante calamità che i giovani uomini e donne aspiranti docenti incontrano nel loro percorso scolastico-lavorativo potranno mai essere cambiati veramente con uno stanziamento di solo 31,9 miliardi di euro per la quarta missione del PNRR? Come poter combattere invece un problema che sta già alla radice dello stesso status quo: il disinteresse e il favoreggiamento dei pochi a discapito di un grande numero di individui che invece mette anima, corpo e risorse per il proprio percorso di vita individuale e sociale? E che dire, infine, della riforma dei 60 CFU? Servirà davvero a cambiare le carte in tavola per la costituzione di un nuovo corpo docenti degno di un altrettanto nuovo (si spera…) sistema scolastico italiano?

La registrazione degli interventi di (in ordine):

Francesco Labonia, docente ( Associazione Indipendenza)
Enea Stella, studente universitario (SOCIT)
Danilo Zuccalà, insegnante di sostegno (Fronte per la Sovranità Popolare)
Fabio Cristaldi, maestro (FSP)
Davide Tutino, docente (FISI)
Fanio Giannetto, Comitato romano per il ritiro di ogni autonomia differenziata
Gilberto Trombetta, giornalista economico (FSP)