Non chiamatele fatalità, perché non lo sono. Le morti sul lavoro hanno responsabili con nomi e cognomi precisi, attrezzature di sicurezza non fornite al lavoratore, istruzioni sulla mansione volutamente pericolose per accelerare i tempi di produzione. I fatti di via Mariti si vanno ad aggiungere all’elenco sempre più pesante di “fatalità”, ed il giorno 23 marzo si è tenuta una manifestazione per rilanciarne sia il ricordo che la lotta. Siccome le belle parole sono già state spese, ne analizziamo le criticità e le prospettive, i margini di unità e di azione, in un breve commento:

Nella giornata di sabato 23 marzo, si è tenuta a Firenze, in via di Novoli la manifestazione per i tragici fatti avvenuti nel cantiere dell’Esselunga di via Mariti. La manifestazione si è svolta nell’arco di un pomeriggio ed è poi terminata nell’area adiacente l’ex panificio militare.
Questa manifestazione è stata anche occasione di particolare riflessione, in particolare su due criticità.
Per esempio, la manifestazione avrebbe dovuto prendere luogo il 16 marzo, ma è stata rimandata per la concomitanza con un’altra a Pisa riguardante le violenze subite dagli studenti durante i cortei per la Palestina. Una causa senza dubbio nobile ma che ha inevitabilmente fatto in modo che il tasso di partecipazione sia stato ridotto in questa occasione, e di conseguenza, sono stati meno i lavoratori che sono scesi in piazza a far sentire la loro voce contro questa crescente precarizzazione dei diritti sociali.
In secondo luogo, il metodo della manifestazione, che fra rulli di tamburi e fumogeni, ha rischiato a più riprese di cadere nella definizione di “parata” delle varie sigle che hanno organizzato la protesta, visto da fuori, piuttosto che una vera e propria manifestazione realizzata per commemorare i morti sul lavoro.
Tuttavia, malgrado queste due criticità chiunque si proclami socialista non può non aderire alle motivazioni che vi sono all’origine della manifestazione, ovvero dire BASTA a questa crescente precarizzazione del lavoro che sta avendo la sua conseguenza più tragica quella delle morti sul lavoro.
Si tratta di qualcosa di assolutamente inaccettabile ed affatto degna di un paese civile.
E cosa ancor più inaccettabile è come il governo ed i responsabili stiano cercando di mascherare il tutto come una “tragica fatalità”. Ma guardando i dati si capisce che purtroppo questa è una vera e propria strage silenziosa.

Ed è una tendenza che non è emersa negli scorsi mesi, già da subito dopo le chiusure dovute alla pandemia si è assistito con crescente intensità a questo fenomeno, per esempio, si pensi a cosa accadde tra il 28 ed il 29 settembre 2021, in cui in meno di 48 ore dieci persone persero la vita sul luogo di lavoro.
Quest’ultimo biennio però non è andato molto meglio, dal momento che nell’anno passato il numero delle cosiddette “morti bianche” ha superato le mille persone.
Anche quest’anno, fino ad adesso il numero di “incidenti” mortali sul lavoro è comunque troppo alto.
È ora di dare una svolta alle condizioni dei lavoratori. Che mai più si assista a questo orrendo fenomeno, bisogna dunque estirparlo a partire dalla radice.

Il problema in queste occasioni è sempre quello di riuscire a trasformare l’unità di qualche ora in un’unità duratura a livello politico, affinché non resti fumo dei fumogeni e buoni propositi, ma diventi un’effettiva lotta politica all’ingiustizia sociale.

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