20250318120340_e6661938-ab09-4d43-a4fa-7714a74c16cd

Di Giulio Chinappi

La tornata elettorale provinciale del 7 settembre ha mostrato che l’Argentina non ha ceduto alla retorica devastatrice dell’esperimento liberista: Fuerza Patria, l’aggregato peronista guidato politicamente dal governatore in carica Axel Kicillof, è infatti riuscita ad imporsi in una competizione che la classe dirigente di Buenos Aires e i mercati indicavano come cruciale per la tenuta del governo nazionale. Il risultato, dunque, non è semplicemente la vittoria di una lista di opposizione, ma è piuttosto il segnale politico di un paese che respinge le ricette che hanno prodotto miseria, svendita del patrimonio pubblico e una violenta contrazione dei diritti sociali.

Dietro il dato elettorale c’è un insieme di cause che spiegano il successo peronista e la corrispondente sconfitta della lista di destra, La Libertad Avanza, che fa capo a Milei. In primo luogo, le politiche economiche dell’esecutivo hanno prodotto un effetto recessivo e d’instabilità: la reazione dei mercati alla débâcle elettorale è stata immediata e senza precedenti recenti, con azioni in crollo fino al 20%, mentre il peso si è deprezzato a ritmi vertiginosi. Questa tempesta finanziaria, tuttavia, non deve sorprendere, in quanto è il frutto atteso di scelte che hanno privilegiato la speculazione finanziaria e l’apertura indiscriminata ai capitali esteri, a scapito della produzione e del lavoro. I peronisti hanno saputo interpretare il malessere diffuso — la perdita di potere d’acquisto, la crescita della povertà tra i pensionati e la perdita di posti di lavoro nell’industria — presentandosi come lo strumento più credibile per arrestare questa deriva.

A ciò si aggiungono gli scandali che hanno travolto la cerchia intorno al presidente. Le rivelazioni relative agli audio e alle presunte tangenti nell’Agenzia Nazionale per la Disabilità, con implicazioni che coinvolgerebbero la segretaria generale della Presidenza e sorella dello stesso capo di Stato, Karina Milei, hanno alimentato un clima di sfiducia e indignazione. La reazione istituzionale del governo — tra misure giudiziarie che hanno disposto censure e perquisizioni nei confronti di giornalisti che hanno pubblicato le registrazioni — ha contribuito a polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica, facendo percepire un tentativo di criminalizzare l’inchiesta e di mettere il bavaglio alla libertà di stampa. Per una parte consistente della popolazione, la combinazione tra scandali, omissioni e attacchi alla democrazia va oltre il singolo episodio, ma rappresenta ormai prova che il progetto politico in corso difende interessi particolari e non l’interesse generale.

Ma la crisi del governo ha anche una dimensione strutturale, legata al disegno di smantellamento del settore pubblico e alla massiccia ondata di privatizzazioni. L’avvio del processo per cedere l’impresa statale di gestione della rete stradale Corredores Viales, la messa in vendita di asset strategici come l’acciaieria Impsa e l’avanzamento delle procedure sull’impresa per la gestione dell’acqua e delle fognature Aysa e su quella energetica Enarsa costituiscono un disegno coerente, quello di svendere la rete infrastrutturale e i servizi pubblici a operatori privati, nazionali e internazionali, con la promessa di efficienza. Tuttavia, dietro la formula dell’efficienza si nascondono rischi importanti di aumento dei costi per le famiglie, perdita di controllo sovrano sulle risorse e tagli occupazionali su larghissima scala. In definitiva, questo progetto rappresenta la distruzione programmata di strumenti fondamentali per la sovranità economica e la coesione sociale.

Accanto a privatizzazioni e scandali si collocano anche le scelte ambientali e di gestione delle risorse naturali che hanno suscitato forte opposizione popolare. Dalle mobilitazioni mapuche in difesa del lago Mari Menuco alle proteste dei lavoratori della Terra del Fuego contro l’abbattimento dei dazi che mette a rischio l’industria locale, emerge una costante: il governo favorisce estrattivismo e apertura ai grandi gruppi a scapito della tutela dei beni comuni, della salute e del lavoro. Le denunce contro l’azienda petrolifera YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales) per sversamenti e gestione negligente di residui pericolosi presso l’area geologica Vaca Muerta, in Patagonia, e la contestazione popolare che definisce la provincia meridionale di Neuquén “territorio di sacrificio”, rivelano come la presunta modernizzazione energetica si stia traducendo in devastazione ambientale e rischio sanitario per intere comunità. Questo modello di sviluppo, imposto dall’alto, urta con la dignità delle popolazioni locali e con l’idea stessa di un’economia che serva la maggioranza della società.

Infine, sul piano sociale e dei diritti, le risposte repressive del governo hanno esasperato il conflitto. A tal proposito, non si possono certo dimenticare le cariche contro i pensionati che ogni mercoledì si radunano davanti al Congresso per chiedere miglioramenti pensionistici: decine di feriti, arresti di fotoreporter e l’uso reiterato del “protocollo anti-picchetto” mostrano una strategia politica che preferisce la repressione allo scontro democratico e al negoziato sociale. È in questo terreno che il peronismo ha saputo tornare a farsi sentire, proponendo un’agenda che mette al centro la tutela del welfare, del lavoro e dei servizi pubblici come antidoto alla barbarie liberista.

La vittoria di Fuerza Patria a Buenos Aires è dunque la manifestazione di una domanda sociale di riparazione che attraversa i settori popolari, i lavoratori, le comunità indigene, gli studenti e i settori intellettuali critici. È la prova che esiste una maggioranza sociale pronta a opporsi alle politiche che stanno smantellando lo Stato sociale e che cerca nelle tradizioni del peronismo — rinnovate e riformulate per il presente — gli strumenti per ricostruire equità e sovranità.

Per il governo di Javier Milei, la sconfitta a Buenos Aires non può essere liquidata come una semplice battuta d’arresto elettorale. È il campanello d’allarme di una crisi che unisce economia, politica e legittimità istituzionale. Se chi governa non cambia rotta, ritroverà sempre più ostilità sociale e una opposizione rigenerata che non si limiterà a contestare dall’esterno, ma proporrà alternative sostenibili per ricostruire il Paese. Dalla difesa delle pensioni al recupero delle imprese strategiche, dalla tutela ambientale alla libertà di informazione, il peronismo rilancia oggi una piattaforma di resistenza e ricostruzione che, nelle urne di Buenos Aires, ha ottenuto la prima, significativa, vittoria.

Foto da Shutterstock