La sanità Italiana è considerata al diciassettesimo posto nelle ultime analisi globali. Nonostante l’ottimo risultato ottenuto nel corso degli anni, che l’aveva portata ad una scalata non indifferente, le ultime emergenze e la totale impreparazione a livello ministeriale ne hanno pesantemente minato l’efficienza anche su piccola scala. Ci sono delle considerazioni importanti da fare a riguardo.


In primo luogo la spesa per la sanità pubblica negli ultimi anni si attesta attorno al 6-7% del PIL all’anno. Dagli anni ‘80 si iniziarono a tagliare i fondi per la sanità, tagli successivamente aumentati drasticamente a partire dal 2002, per l’ingresso nell’euro, per compensare i primi effetti del cambio della valuta e destinare fondi per evitare spiacevoli malumori nel popolo, in pieno stile bastone e carota.

La spesa destinata alla sanità pubblica nel 2001 infatti corrispondeva all’8,2% del PIL. Purtroppo successivamente l’UE ha stretto l’Italia verso il raggiungimento del pareggio di bilancio, obiettivo disatteso, dando vita ad una serie di manovre di privatizzazione nel breve termine tali da compromettere gran parte del “pubblico” nella sanità, aprendo alle grandi privatizzazioni sul lungo termine.

Se il valore della valuta era sì in aumento prima della questione Donbass, è altrettanto vero che rischiare la pelle dei cittadini in funzione di mercato è stata una scelta stomachevole.

Non è possibile di fatto prevedere con certezza la durata della vita di una persona, ed un buon sistema nazionale pubblico può ovviare a tante problematiche minori che, col tempo e lasciate incurate, potrebbero sfociare in gravi problemi non risolvibili e/o ancor più gravanti sull’intero sistema sanitario, rendendo la prevenzione ed il trattamento precoce di quanto più importante vi possa essere.

Altra considerazione fondamentale da analizzare è l’organizzazione del Sistema Sanitario Nazionale: esso è particolarmente decentralizzato, ogni regione ha ampia libertà di scelta sul come organizzare la gestione ospedaliera, ogni ospedale ha un’organizzazione interna diversa scelta dalla direzione sanitaria dell’ospedale, e spesso ogni reparto ha a sua volta un’organizzazione diversa dagli altri reparti nello stesso ospedale.

Ovviamente ogni reparto ha necessità diverse, quindi in questo caso un margine di manovra può essere utile, il problema sfocia però in un’incompatibilità di azione fra i vari reparti quando servono diagnosi e terapie suddivise in due o più reparti, andando a scatenare tragicomiche situazioni di programmi digitali, nati come superamento della cartella sanitaria, che non vengono letti da un reparto all’altro, scatenando spesso un vero e radicale ritorno di circostanza al cartaceo.

Problema spesso dovuto alla scelta di non collaborazione in fatto di decisione del programma da utilizzare da parte dei primari di uno stesso ospedale.

Esistono però anche esempi virtuosi, per esempio, nella provincia autonoma di Trento si utilizza un
programma unico, completo e comune a tutti i reparti di tutti gli ospedali, facilmente consultabile anche da domicilio dal paziente.

Un ottimo traguardo sarebbe certamente l’utilizzo di un programma unico in tutt’Italia, così dovunque si trovi una persona sul territorio italiano, se ha con se la tessera sanitaria può automaticamente fornire un’anamnesi all’organico dell’ospedale senza alcun impedimento, permettendo una tempestiva individuazione di cause, passati decorsi ospedalieri, farmaci in corso di assunzione ed allergie, ecc.

Sempre in ambito di centralizzazione della sanità, sarebbe utile dare come disposizione la possibilità di seguire solo le linee guida imposte dallo Stato Italiano, e non anche linee guida prodotte da riviste scientifiche, spesso straniere, come quelle anglo-americane, che fanno riferimento a Stati con un servizio sanitario pubblico molto minimalistico e si basano su assicurazioni sanitarie e ospedali privati, e perciò del tutto inadatte al nostro contesto, quindi con una condizione sanitaria opposta alla nostra, che spesso punta al risparmio piuttosto che alla salute del paziente (e di fatto questi Paesi hanno una vita media e una qualità della vita e della salute molto ridotte, in confronto).

Ogni dottore deve essere libero di trattare il paziente con un margine di autonomia, con la consapevolezza che se segue linee guida diverse da quelle dello Stato, e a causa di ciò arreca danno, dovrà pagarne le conseguenze.

Un altro grave stato di disorganizzazione si è realizzato con la centralizzazione di una delle poche attività che forse sarebbe stato meglio lasciare com’era: il Centro Unico Prenotazioni.

Prenotare un esame in alcune regioni popolose è diventato molto difficile: quando si chiama il Centro Unico Prenotazioni è possibile dover attendere anche decine di minuti o addirittura ore, prima che qualcuno risponda, e spesso il paziente è portato a prenotare una visita in un ospedale lontano nella stessa regione, più che a rivolgersi ad un altro più vicino ma magari in altra.

La soluzione sarebbe avere la possibilità di avere centri di questo tipo anche in ambiti che siano più ridotti di quello regionale come, ad esempio, in ospedali che fanno riferimento ad altre ASL ignorando i confini regionali, così un paziente può chiamare un centralino che molto probabilmente risponderà prima, e potrà essere indirizzato ad un ospedale della sua zona, o comunque di una determinata zona scelta sulle possibilità e sulle necessità del paziente (mettiamo caso che il paziente sia, ad esempio, lontano dalla domiciliazione).

Sempre restando a tema visite, capita troppo spesso che un paziente debba prenotare una visita non urgente, ma il primo posto libero è ad un anno di distanza o più, dando nel frattempo vita a complicazioni sempre più gravi o addirittura mortali.

Per ovviare a questo problema, abbiamo un altro esempio virtuoso qui in Italia: in Veneto c’è la possibilità di sottoporsi ad alcune visite non urgenti anche di notte.

Se una macchina per la risonanza magnetica funziona 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, è possibile che le visite si accumulino nel tempo, ma se funzionasse 24 ore su 24 tutti i giorni, sarà molto difficile che si possano accumulare tanti pazienti in lista d’attesa, ma ovviamente per far ciò servirebbe aumentare l’organico, che è già carente.

Vista la condizione attuale, molti pazienti piuttosto che stare al passo dei tempi d’attesa degli ospedali pubblici, si rivolgono a cliniche private, e ciò porta ad un progressivo indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale e risulta una condizione favorevole per riscuotere consensi anche sulla privatizzazione della sanità, mentre con una gestione migliore si potrebbe facilmente dimostrare che la sanità pubblica è di gran lunga migliore.


Il personale sanitario in realtà non manca, ciò che manca è personale sanitario qualificato.

Ogni anno in Italia si laureano circa 10000 persone in medicina, ma ci sono solo 6000 posti di specializzazione. Condizione analoga per gli infermieri.

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