In concomitanza con la conferenza sul tema prospettive e criticità dei BRICS una delegazione del SOCIT si è recata al Cimitero Monumentale di Milano presso la tomba di Filippo Tommaso Marinetti, la quale è stata risistemata al fine di renderla riconoscibile ai visitatori; la giornata si è conclusa con l’apposizione di una bandiera tricolore sulla lapide di Marinetti.

Marinetti, e più in generale il futurismo, è uno dei punti di riferimento all’interno del SOCIT, il quale oltre ad essere un’organizzazione politica è anche un’Associazione Culturale. Tale è il motivo per cui conosciute le condizioni in cui versava la tomba dello scrittore d’Alessandria d’Egitto, nemmeno segnalata sull’itinerario del complesso monumentale, è stata presa la decisione di ripulirla al fine di garantire la giusta memoria ad uno dei “grandi” del Novecento italiano.

Il futurismo appartiene a quelle correnti culturali sorte nei primi decenni del XX secolo che prendono il nome di “Avanguardie” e proprio in quanto “Partito d’Avanguardia” noi riprendiamo il futurismo, che non verte solamente nella figura di Marinetti e del Futurismo Italiano, ma anche nelle figure di Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay, Lajos Kassák, Natalia Goncharova e Vladimir Majakovskij. Proprio su quest’ultimo, in prima fila durante la Rivoluzione Russa, e su Marinetti si svilupperà l’articolo.

Introduzione di Enea Stella

Breve biografia di Filippo Tommaso Marinetti… di Ivan Branco

Spirito eclettico; uomo d’azione, di pennello e d’inchiostro; animo elettrico e danzante sulle saette verso destra-sinistra-nordest-virata a sudovest! Ma sempre verso l’avanti…nato nell’ultimo dominio dei Tolomei, in una terra mistica e antica, e vissuto in quella terra che ha valuto battezzare (e sognato di sconsacrare veramente…) nel nome della velocità, dell’arditismo, della violenza edificante scintillante scurrile delicata e virile del Polemos, spirito dell’avanguardia pioneristica e dionisiaca e, in primis, essenza dinamica e razionalissima dello sviluppo intenso dell’acciaio corpo e volere dei popoli, delle civiltà e dei singoli; un essere dagli occhi luccicanti di lacrime (per la velocità di queste vedette dell’avvenire) e di fuoco (per la fiamma del divenire energico e sensibile delle parole, delle spennellate, degli scatti delle macchine fotografiche e di coloro che essi fotografano verso la pioggia di lampi e scariche e colpi di lingue taglienti) che ha saputo, con l’ingegno di un principe e l’utopia di un ribelle in ranghi serrati e fluidi come la marea, saper martellare le vecchie torri di cristallo e pietra delle corone, delle chiese, delle banche, delle polverose biblioteche e dei decadenti calamai per costruirvici sopra alle loro ossa infertili ed eteree le grandi torri di Babele a prova di Dio; archi di circuiti scienza e volontà umana che scagliano frecce infuocate ed esplosive verso le vecchie armature cavalleresche e le pantofole del casalingo borghese; puro spirito latino e meccanico. Ordunque signori, F.T.M. 

Ma ora, lasciamo un attimo da parte F.T.M. per concentrarci meglio su Filippo Tommaso Marinetti; egli nacque il 22 dicembre 1876 ad Alessandria d’Egitto, figlio di un avvocato di Voghera: Enrico Marinetti, e di una dolce e pacata donna: Amalia Grolli. Grazie alla buona posizione sociale ed economica della famiglia, Marinetti, nel 1888, entra nel collegio di St. Francois-Xavier, retto dai gesuiti francesi. È proprio durante questo periodo che Marinetti sviluppa la sua passione e la sua vocazione per la letteratura: già all’età di 17 anni fonda la sua prima rivista scolastica dal nome Papyrus; ma a causa del suo portamento sovversivo, i gesuiti lo minacciano di espulsione dal collegio (soprattutto dopo aver introdotto nello stesso dei romanzi di Emile Zola). Su consiglio della famiglia si trasferisce a Parigi dove otterrà il baccalaureato nel 1893; poco dopo si iscriverà alla facoltà di legge all’università di Pavia insieme al fratello più grande Leone. Gli anni successivi saranno, umanamente parlando, estremamente duri per Marinetti, e una grande opportunità per il suo spirito artistico e lirico: poco prima di laurearsi (1899) e di abbandonare gli studi per conseguire la sua vocazione letteraria, il fratello Leone muore appena ventunenne, mentre nel 1902 sarà la madre a lasciare un’altra enorme ferita nel petto e nella penna dello scrittore; sarà proprio a seguito di queste due perdite che, come già detto, Marinetti deciderà di donare la sua intera vita per fare della stessa la sua più grande opera, cimentandosi completamente nella scrittura in prosa, in versi e, sempre dagli inizi del ‘900, persino politico-filosofica. Durante il suo periodo parigino, Marinetti compone molte poesie in francese che vengono pubblicate su riviste poetiche francesi e milanesi e che vengono subito notate nella stessa Francia; in particolare da poeti come Catulle Mendès e Gustave Kahn; questo è il periodo in cui i versi marinettiani sono scanditi dal verso libero di stampo simbolista o liberty, e molto importanti sono le influenze di due grandi autori dell’epoca e di sempre: Stéphane Mallarmé e Gabriele d’Annunzio, anche se su quest’ultimo bisogna aprire una piccola parentesi. Nei circoli letterari di Parigi Marinetti e d’Annunzio erano visti in modo abbastanza ambiguo: c’era chi riteneva che i due avessero un rapporto di antagonismo, anche se il più vasto successo del Vate porterà poi Marinetti ad essere oscurato, anche se egli rimarrà sempre una fonte affidabile per la conoscenza di aneddoti sullo stesso d’Annunzio; ma oltre a questo, dobbiamo anche considerare i due stili degli autori, i quali si distinguevano soprattutto per il più intenso interesse di Marinetti per il grottesco e l’orrido (i quali non lo abbandoneranno veramente durante tutto il suo percorso umano e letterario, basti pensare alle vicende di uno dei suoi romanzi più importanti e famosi: Mafarka il Futurista). La svolta artistica di Marinetti avverrà fra il 1905 e il 1909, quando a Milano fonda, insieme a Sem Benelli e Vitaliano Ponti, la rivista Poesia; essa inizialmente fungerà soprattutto come spazio per la promozione di poesie e scritti simbolisti francesi e belgi, con la caratteristica che erano tutti praticamente sconosciuti; ma in un secondo momento la rivista servirà come organo ufficiale per la diffusione del nuovo movimento da lui creato: il Futurismo. Solitamente un simpatico aneddoto viene utilizzato come “punto di partenza” per il rinnovamento totale dello stile marinettiano: nel 1908, mentre egli viaggiava su un’Isotta Fraschini, per evitare due ciclisti che stavano passando in quel momento, finì con tutta la macchina dentro un fossato poco fuori Milano; questo episodio, narrato anche all’interno del Manifesto del Futurismo, è il simbolo della rinascita di Marinetti, dal suo discostarsi completamente dal decadentismo e dallo stile liberty per far spazio ad uno stile rivoluzionario che si imporrà il compito di chiudere totalmente ogni contatto col passato, spingersi in avanti verso ogni limite e, con la dinamicità e la potenza di questa nuova vitalità, distruggere tutte le sue catene per andare al di là, sempre più al di là di tutti i muri e di tutti i fossati. Ciò si ripercuoterà non solo nella sua arte, ma anche nella sua concezione politica e filosofica con un grande elogio della lotta, della guerra, dell’innovazione, del dinamismo e della libertà. Alla fine del gennaio del 1909, Marinetti spedisce il suo Manifesto a tutte le principali testate giornalistiche italiane; la prima a pubblicarlo sarà la Gazzetta dell’Emilia, il 5 febbraio dello stesso anno; ma la pubblicazione più importante avverrà il 20 febbraio in Francia grazie al più importante giornale della stessa: Le Figaro. Da questo momento in poi il progetto marinettiano ottiene una grande mole di prestigio e di riconoscimento, anche se dovrà far fronte a svariate sconfitte oltre che ai successi ottenuti.

Le prime opere scritte da Marinetti, infatti, non otterranno grandi successi e acclamazioni da parte della critica e del pubblico, ma anche grazie a queste recensioni negative delle prime opere marinettiane non solo possiamo assistere a un inesorabile miglioramento delle stesse (soprattutto nelle tematiche trattate e nella loro complicatezza e inventività), ma anche alla nascita e a una prima esplicazione di quello “stile dell’azione e della penna” che andranno poi a contraddistinguere il futurismo italiano da tutti gli altri movimenti artistici. Per citare qualche esempio, nell’aprile del 1905 Marinetti presenta la prima del suo dramma satirico “Le Roi Bombance”, ma esso viene letteralmente fischiato dal pubblico ma anche da Marinetti stesso; potrebbe sembrare una mossa senza alcun senso o, addirittura, contraddittoria, ma essa invece ha e continuerà ad avere un significato ben preciso e molto rivoluzionario, ovvero quello della cosiddetta “volontà d’essere fischiati”, la volontà di sapersi sempre mettere al muro per riuscire a sfondare e a passare da quella parete che ci imprigiona, la volontà, quindi, di sperimentare di morire ogni volta e farsi una grande risata, non già per sdrammatizzare o per evitare di piangere, ma perché si è già pronti per la rinascita; come la cenere disperde solo il corpo per poi renderlo nuovamente unità nella terra, così questa voglia di rottamarsi per già troppa vecchiaia per ricostruirsi sempre sarà uno dei capisaldi del futurismo artistico e filosofico-politico. Ma non è solo questo il primo tema che viene già presentato a Marinetti stesso e al mondo, ricordiamo anche che Marinetti, dopo aver ricevuto delle aspre e durissime critiche da un recensore, decise di sfidarlo a duello; volontà del cazzotto e della rivoltella, ma senza scadere nella puerilità del barbaro, rimanendo dunque un signore di tutto rispetto onore e forza. Il secondo esempio che vorrei riportare (e che contiene anche un altro tema estremamente importante per lo “stile futurista”) è quello del dramma “La Donna è Mobile”, presentato a Torino; anch’esso non ottenne molto successo, ma c’è un particolare che lo rende molto interessante per la sua innovazione non tanto in campo artistico quanto, invece, in quello visionario e avanguardistico, oltre che per lo sviluppo dell’identità stessa del futurismo: la comparsa di attori travestiti da androidi umanoidi; con tale atto Marinetti, oltre ad anticipare, per certi versi, lo scrittore ceco Karel Capek (colui che ha coniato la parola “robot”), porta un altro tema ricorrente e fondamentale del futurismo: lo sguardo, lo slancio e la mente verso l’avanti, con un corpo e un animo che possono percorrere epoche intere, passare da un eone all’altro pur rimanendo in quelle poche decine di anni che possiede la vita umana. Tutti questi temi saranno poi condensati meglio all’interno del primo romanzo di Marinetti: “Mafarka il Futurista” (che venne già accennato poco sopra); quest’ultimo poi, venne addirittura chiamato in giudizio con l’accusa di oltraggio al pudore, ma poi le accuse caddero abbastanza rapidamente nel 1910. Gli anni ‘10 del secolo scorso saranno di estrema importanza per Marinetti e il futurismo italiano, i quali già agli inizi del decennio troveranno alcuni importanti collaboratori che poi diverranno veri e propri membri rilevanti del movimento: sono dei giovani pittori, tre giovani pittori, ovvero Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo. Marinetti, insieme ad essi e al poeta Aldo Palazzeschi, darà vita alle “serate futuriste”, ovvero a degli eventi (degli spettacoli teatrali più precisamente) in cui i futuristi lanceranno i loro manifesti e declameranno le loro grandi visioni a tutti coloro che lì si riuniranno (anche se molte persone vi andranno unicamente per prendersi gioco di loro). Un altro evento simbolo dell’essenza del movimento futurista e di Marinetti è un particolare evento svoltosi a Venezia in cui i futuristi, dopo essersi appostati nel campanile della Basilica di San Marco, lanciarono un altro e nuovo manifesto dal titolo “Contro Venezia Passatista”, in cui veniva proposto di “colmare i piccoli canali male odoranti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi” per “preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa dominare il Mar Adriatico, grande lago italiano.” È il 29 settembre del 1911, l’Italia inizia l’invasione della Libia, all’epoca sotto il controllo dell’Impero Ottomano.

A dir la verità, Marinetti è l’unico fra i futuristi ad approvare completamente e veramente la causa della guerra, anche se nei suoi proclami parla sempre al plurale, come in questa seguente dichiarazione: “orgogliosi di sentire uguale al nostro il fervore bellicoso che anima tutto il paese, incitiamo il governo italiano, divenuto finalmente futurista, a ingigantire tutte le ambizioni nazionali, disprezzando le stupide accuse di pirateria.” Egli poi esorterà anche i suoi stessi compagni a mettere “da parte i versi, i pennelli, gli scalpelli e le orchestre” per poter prendere direttamente nuova linfa e ispirazione dalla guerra, dato che “son cominciate le rosse vacanze del genio.” La mattina del 9 ottobre del 1911, dopo svariate complicazioni, Marinetti riesce a imbarcarsi ed è ora diretto verso la Libia. 3 giorni dopo Marinetti, finalmente, sbarca sulla “quarta costa” (come già si iniziò a chiamare la costa libica) insieme a molti altri giornalisti; appena giunto nel continente africano, la prima cosa che Marinetti fa è scrivere una lettera a Balilla Pratella (un musicista, uno dei padri fondatori della musica futurista): “Carissimo, spero di tirare a qualche testa di turco. Ma sarà difficile. Ritornerò presto e riprenderemo tutto energicamente.” Non sono molte le occasioni in cui poter osservare dei veri e propri scontri fra le truppe italiane, quelle turche e la popolazione libica: le prime continuano nella loro avanzata, le secondo non si fanno quasi vedere e la terza rimane piuttosto sopita; ma il 23 dello stesso mese accade qualcosa di furioso e inaspettato: le truppe turche e le folle libiche prendono d’assalto le posizioni trincerate e fortificate italiane le quali, non essendo pronte ad un attacco del genere, vengono annientate; l’attacco turco-libico si risolve in una carneficina di italiani, contando anche che i primi non avrebbero fatto alcun prigioniero, molti, di fatto, furono gli italiani buttati nei fossi, inchiodati alle palme, accecati, squartati etc. Poco dopo questa mattanza, il 26 di ottobre, le truppe turco-libiche lanciano un’ulteriore offensiva nei pressi di Bu Meliana, Sidi Messri e sull’altura di Henni; qui la cavalleria libica riesce a conquistare un importante punto strategico: la casa di Gemal Bay, la quale sarà riconquistata dopo l’intervento dei rinforzi e dell’artiglieria navale e terrestre italiana. Marinetti sarà uno dei primi a giungere nella riconquistata Gemal Bay, e nei suoi appunti scriverà: “vedo avanzarsi un artigliere i cui piedi affondano in una poltiglia di sabbia, di sangue e di bossoli di cartucce. Ridendo dagli occhi azzurri, egli balbetta dalle mascelle squarciate: “Otto! Ne ho uccisi otto!” ma nulla eguaglia la bellezza di quel sergente che con la bocca imbavagliata di bende insanguinate alza le due mani verso di me, a ogni momento, per indicarmi con le dieci dita aperte che ha ucciso dieci nemici.” Marinetti, poi, partecipa anche al contrattacco italiano, divenuto una vera e propria rappresaglia. Dopo circa due mesi, egli scrive nuovamente a Pratella: “Ebbi anche il piacere di battermi molte volte, seguendo i plotoni perlustratori all’assalto delle case arabe nell’oasi.”; egli si compiacerà molto anche del fatto in cui “ebbi la gioia di vedere tre arabi cadere sotto i colpi della mia pistola Mauser.” Ormai alla fine della guerra in Libia, Marinetti, vedendo i segni della smobilitazione delle truppe e l’avvio dei concordati di pace fra italiani e ottomani, dichiara: “Non ci sono più proiettili, non ci sono più camicie: io me ne vado.” Il suo ritorno nella Penisola segnerà l’inizio di un nuovo periodo alquanto fiorente per i suoi scritti: appena tornato in Italia scriverà del suo vissuto personale in Libia, intitolando l’opera “La Battaglia di Tripoli”, che sarà acclamata in tutta Italia; poi inizierà anche a lavorare, nel 1912, a un romanzo in versi fortemente anticattolico e antiaustriaco: “Le Monoplane du Pape” (l’Aeroplano del Papa) e cura anche un’antologia di diversi poeti futuristi.

Ma la vera svolta e rivoluzione si concentreranno di più sulla creazione di un nuovo linguaggio che verrà già annunziato, per la prima volta, nella prefazione di quella antologia e nel Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio del 1912: Marinetti affermerà che è tempo di farla finita con la sintassi tradizionale, ed è dunque giunto il momento di far spazio per un’espressione d’avanguardia e veramente futurista: le Parole in Libertà. Le Parole in Libertà sono una tecnica e uno stile espressivo carichi di quell’innovazione e di quel disprezzo del passato genuinamente futurista in cui la sintassi è completamente cancellata, stessa cosa la punteggiatura e in cui viene fatto molto spesso ricorso ad artifici verbo-visivi; ma non tutti i futuristi si dimostrano entusiasti di questa bizzarra proposta di Marinetti, come i casi di Aldo Palazzeschi e Corrado Govoni, che di lì a breve abbandoneranno il movimento, anche se poi verranno rimpiazzati da dei nomi meno noti. Anche se con qualche brutto colpo, il 1912 rimarrà comunque il massimo momento di proselitismo del futurismo, favorito anche dalla rivista Lacerba diretta da Giovanni Papini e Ardengo Soffici (anche se il loro sostegno rimarrà piuttosto effimero); questo poi sarà anche il periodo in cui Marinetti comporrà uno dei testi più famosi del futurismo: “Zang Tumb Tumb”, un resoconto della guerra bulgaro-turca (uno dei teatri all’interno del più grande quadro della Prima Guerra Balcanica), che verrà scritto proprio con la tecnica delle Parole in Libertà. Due anni più tardi, accadrà un evento molto importante che riguarda sia gli argomenti trattati in questo articolo sia la storia stessa del movimento futurista: Marinetti viaggerà anche in Russia, precisamente a Pietrogrado e a Mosca, dove conoscerà svariati futuristi russi; essi, pur accogliendo Marinetti fra di loro, non rimarranno senza critiche sulle scelte stilistiche marinettiane, mantenendo quindi una certa distanza dal movimento futurista sorto in Italia. Ma oltre a questo interessante e importante evento, sarà anche un’altra grande avventura a sconvolgere la vita di Marinetti, e non solo la sua…Il 28 luglio del 1914, l’Austria-Ungheria dichiara ufficialmente guerra alla Serbia dopo la scadenza dell’ultimatum dato a quest’ultima per via dell’uccisione dell’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo. Marinetti si metterà subito in prima fila per favorire l’entrata in guerra dell’Italia contro gli Imperi Centrali e, in particolare, contro la secolare nemica della nazione: l’Austria (Marinetti sarà anche arrestato per aver bruciato delle bandiere austriache nella piazza del Duomo di Milano).

Subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia nei confronti degli Imperi, Marinetti, insieme a molti altri futuristi e anche a molti altri esponenti delle forze rivoluzionarie e avanguardiste dell’epoca (come Filippo Corridoni e Alceste de Ambris), si arruola e parte per la lotta, venendo poi ferito all’inguine e, una volta tornato sul campo, partecipando anche alla Battaglia di Caporetto e a quella di Vittorio Veneto, militando prima in un battaglione di ciclisti e, poi, in un’unità di auto blindate. Dopo la fine della guerra, Marinetti, rimasto deluso dalla cosiddetta “Vittoria Mutilata” italiana, è sempre più convinto che sia assolutamente necessario capovolgere una volta per tutte lo status quo della politica italiana tramite una grande rivoluzione; questo sarà uno dei motivi che lo spingerà, sia prima sia dopo la guerra, ad avvicinarsi e a far avvicinare il futurismo italiano a varie istanze ideologiche, dapprima con un’alleanza con gli anarchici e i socialisti/sindacalisti rivoluzionari fino, all’incirca, alla presa di Fiume da parte di d’Annunzio a cui lo stesso Marinetti insieme a svariati futuristi, parteciperà, anche se poi abbandonerà abbastanza presto l’impresa; dopo tale evento, il suo sguardo si rivolgerà verso un giovane movimento, nato nel 1919 a Milano, in Piazza San Sepolcro, in cui un giovane socialista fuoriuscito dal PSI riunirà le più svariate forze rivoluzionarie del tempo, dagli anarchici ai nazionalisti passando per sindacalisti, socialisti, arditi e, appunto, i futuristi: il movimento in questione, creato da Benito Mussolini, prenderà poi il nome di Fasci di Combattimento, in cui confluirà, quello stesso 23 marzo del ‘19, anche il Partito Politico Futurista fondato poco prima da Marinetti. Durante questo periodo, Marinetti e l’ala futurista da lui guidata si scontrarono svariate volte con i loro ex alleati di un tempo: alcuni degli episodi più eclatanti risalgono al 15 aprile dello stesso anno, in cui Marinetti, altri futuristi, arditi e fascisti si scontrarono violentemente con delle formazioni anarchiche e socialiste che stavano avanzando verso la piazza Duomo; oppure è da ricordare la sua partecipazione all’assalto della sede dell’Avanti! Ma questa collaborazione con il fascismo durerà poco: dopo aver ribadito le nette differenze fra il suo movimento e quello di Mussolini e dopo la “svolta a destra” (intrapreso da quest’ultimo in un’ottica di opportunismo politico), dopo le elezioni (fallimentari) del novembre del 1919 e dopo la partecipazione al secondo congresso dei Fasci nel maggio del 1920, Marinetti, non riuscendo più a trovare un’intesa con le giovani forze rivoluzionarie mussoliniane tramutatesi poi in un rifugio di conservatori e reazionari, decise di abbandonare definitivamente la coalizione con i Fasci per tornare alla sua autonoma attività letteraria. Sarà proprio in questo periodo che Marinetti, insieme alla sua compagna Benedetta Cappa (scrittrice e pittrice), svilupperà una nuova forma di arte: il Tattilismo, ovvero una forma d’arte tattile che avrebbe dovuto far leva su un’esperienza multisensoriale, considerata come un ulteriore passo in avanti del futurismo; ma anche stavolta gli stessi futuristi italiani rimarranno abbastanza spiazzati da questa innovazione, e persino a Parigi Marinetti e il futurismo inizieranno ad avere meno rilievo, ciò soprattutto a causa di un nuovo movimenti artistico, nato da poco, che si prenderà persino beffe di quest’ultima opera futurista: il dadaismo. Dopo questa batosta ricevuta, Marinetti incomincia un percorso di riavvicinamento al fascismo e al nuovo regime di Mussolini; quest’ultimo lo ricompenserà non solo con svariate onorificenze, ma anche con un posto di rilievo all’interno dell’arte del regime e della sua stessa cultura: pensiamo solo alla firma di Marinetti del Manifesto degli Intellettuali Fascisti, oppure la sua entrata all’Accademia d’Italia, i suoi viaggi in America Latina e Spagna e i vari Manifesti da lui creati, come il Manifesto dell’Aeropittura Futurista, il Manifesto della Fotografia Futurista e il Manifesto dell’Architettura Aerea. Inoltre, Marinetti riceverà anche una posizione agiata all’interno del regime che egli sfrutterà per lanciare delle critiche allo stesso e a svariate sue decisioni; come quando, ad esempio, sulla rivista futurista Artecrazia, denunciò il dilagante antisemitismo in Italia e la promulgazione delle leggi razziali, oltre che l’alleanza col Reich del cancelliere Adolf Hitler. Per almeno un decennio, ovvero dagli anni ‘20 fino alla prima metà degli anni ‘30, Marinetti continuerà con la sua opera di scrittura e invenzione artistica, ma anche il suo spirito d’azione e d’avventura sul campo sarà finalmente rinnovato quando, dal 1935 al 1936, l’Italia combatterà in Abissina; Marinetti, dunque, deciso a rimanere totalmente coerente con i suoi ideali, partirà per la spedizione italiana nella suddetta terra e, negli anni ‘40, all’età di sessantasei anni, partirà anche per la Russia, al seguito dell’ARMIR. Ma quest’ultima esperienza gli risulterà fatale: a causa delle ferite riportate, tornerà in Italia stanco e malato; i suoi ultimi atti riguarderanno la stesura di qualche altra opera, come “La Grande Milano Tradizionale e Futurista”, e l’adesione alla Repubblica Sociale Italiana. Infine, si spegnerà poi a Bellagio, in provincia di Como, il 2 dicembre 1944 a seguito di una crisi cardiaca. La notizia fu talmente tanto veloce del diffondersi e talmente forte nel farsi sentire che, il giorno successivo, persino il NY Times pubblicò un articolo dedicato al poeta: “Dr. F.T. Marinetti, Italian Author, 67, Early Associate of Mussolini, Also Known for Poems, Dies.”

Breve storia del Futurismo Italiano… di Ivan Branco

Arte dell’Avvenire sfavillante veloce senza filtri e paraocchi Muuusica per lo spirito di questi umani scoppiettanti e quanto mai l i b e r i di insorgere per fondare la causa della bestemmia direttamente in faccia al papa e al dio dei morti. Violenta esplosione della rivoltella e della scazzottata in mezzo agli inni del giovine Dioniso contro el decadente e vecchio reggimento di accademici pittori e militari; gioventù di spadaccini colla penna ed il fioretto. Un aereo che vola a tutta veeeelooooocitaaaaaaà verso il centro del mondo e verso l’infinito-finire-in-finiti-mondi-ed-infinite-finite-vite! Futuro e potenza, pugnalata all’occhio del ciclopico leviatano: moralismo e passato.

Il futurismo nacque in uno dei più mediterranei e nel più latino dei popoli e delle terre: in Italia nel secolo XX, grazie al grande slancio dato dagli accadimenti dell’epoca e dall’aria che in quest’ultima aleggiava da un po’: guerre, lotte fra popoli e civiltà, rivolte violente e nuove immagini del futuro prossimo date dalle scoperte scientifiche e dalle nuove frontiere raggiunte in tutti i campi del sapere; un periodo florido per la sperimentazione, per l’intuito e l’ingegno creativo, per l’abbandono del passato e dei suoi occhiali sostituiti con i telescopi; “Bruciare i musei e le biblioteca”. Ed era anche l’epoca della rivolta metafisica camusiana dell’acciaio contro il legno, della scossa contro la fiamma, dell’aereo e dell’auto contro la nave e il carro, della città contro la campagna e dell’industria pesante contro l’artigiano; “Compagni! Noi vi dichiariamo che lil trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità cambiamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…”

Basterebbero queste poche ma incisive e fulminee frasi per comprendere il primo futurismo italiano, il cui stile artistico-politico-filosofico era scandito dalla passione e dall’attrazione magnetica verso la dinamicità della vita e di ogni suo aspetto; la velocità e l’industria, i nuovi palchi da cui far nascere melodie di ferro battuto e saldato e da cui far uscire rombanti orchestre di motori e armi; il patriottismo sfrenato e l’elogio della guerra, “sola igiene del mondo”, solo repellente contro ogni idealismo, ogni romanticismo e disprezzo per l’avanzata del pioniere in terra (in)umana. Tutti questi temi verranno raccolti e trattati nel celebre “Manifesto Futurista” del 1919 e anche in altre importanti opere, come nel discorso sulla “Necessità e Bellezza della Violenza” o nel celebre scritto politico “Democrazia Futurista”. La prima esposizione d’arte futurista si tenne, ovviamente, nella capitale francese dal 5 al 24 febbraio del 1912; inizialmente l’accoglienza dei parigini fu piuttosto fredda, ma col tempo iniziò sempre più ad accattivare le menti gli spiriti e i sensi della gente, finendo poi per avere un buon successo ed essere persino riproposta in altre città europee, fra cui Berlino. Dopo svariati eventi che coinvolsero alcune delle principali figure del futurismo, come Boccioni (che morì nel 1916), Carrà e Severini, il gruppo futurista si spostò dalla città di Milano fino alla capitale d’Italia: Roma; da questo momento ebbe “ufficialmente” inizio il secondo futurismo. Questo secondo periodo del futurismo italiano sarà suddiviso in altre due fasi (la prima durerà dal 1918 fino al ‘28, mentre la seconda dal ‘29 al ‘39): la prima è stata principalmente caratterizzata da un forte legame con gli stili e i movimenti artistici del post-cubismo e del costruttivismo, il primo caratterizzato da delle opere create attraverso le forme geometriche, la compenetrazione delle stesse figure e una visione del tutto da diversi punti di vista, rendendo così tale stile una composizione di forme apollinee in un quadro caoticamente e dinamicamente equilibrato; e il secondo caratterizzato da una concezione sociale dell’arte stessa, che quindi rigettava il fare “dell’arte per sé stessa”, usando quest’ultima solo come un mezzo. La seconda fase, invece, è nota per il suo avvicinamento alle istanze surrealiste, una corrente artistica, il quale scopo è quello di rappresentare “quell’oltre” delle forme della realtà, dei suoi schemi e della sua razionalità, cercando quindi una via per far emergere i più disparati istinti dell’irrazionale, del desiderio e del sogno. Da una prospettiva più politica, invece, la prima fase della storia del futurismo fu la massima espressione dello stesso spirito futurista, avendo in esso un acceso spirito giovanile e scanzonato di rinnovamento, rivolta; la voglia di una vera e propria rivoluzione, di rischio e sperimentazione della e nella vita, dalla cucina fino al modo di vestirsi, dagli strumenti musicali al modo di scrivere e decantare, dai veicoli fino ai mezzi di produzione, dal libertinaggio e dal dinamismo privato a quello sociale e geopolitico; questa prima fase, di fatto, oltre ad essere quella in cui il futurismo non dipendeva ancora da altre forze politiche, è stata anche la fase più rivoluzionaria, innovativa e “violenta/sacrilega” del movimento e dei suoi esponenti, con un accesissimo spirito e animo guerrafondaio, patriottico, libertario e sociale (di cui già parlammo in degli appositi articoli); mentre nella seconda fase il futurismo si accostò, con l’adesione di Marinetti (dopo però un primo rigetto), al fascismo e al regime di Mussolini, pur rimanendo sempre, come affermò lo stesso Marinetti, una vera e propria forza sempre indipendente e distinta.

Vladimir Vladimirovič Majakovskij, vita e rivoluzione…di Enea Stella

«Non appena/ il piede/ misi nel Caucaso,// Ricordai,/ che sono/ georgiano». Così si esprime Majakovskij nella sua poesia “Vladikavkaz-Tilfis” e proprio dal Caucaso deve partire la sua narrazione. Nato in Georgia, poco lontano da Tbilisi, nel 1893 il vasto paesaggio georgiano e caucasico rimarrà sempre impresso nella sua mente tornando numerose volte nella sua opera, oltre a temprare il suo animo; figlio di una guardia forestale fin da subito la sua vita è orientata verso le forme della poesia, che secondo lui è la dimensione totalizzante dell’essere, e mentre vive ancora a Bagdadi una serie di eventi che riguarderanno l’Impero Russo faranno nascere il vento rivoluzionario da cui verrà trasportato Majakovskij. Su tutte è la rivoluzione russa del 1905 che colpirà il poeta, in questo scenario i protagonisti della rivoluzione assumono le forme di una tela nella mente di Majakovskij dove ognuno ha il proprio colore: gli anarchici sono neri, i socialrivoluzionari rossi, i socialdemocratici azzurri, gli altri colori sono i federalisti. Nel 1906 dopo la morte del padre si trasferisce a Mosca, dove inizia a lavorare e a scrivere per un giornale illegale; nel 1908 entrò nelle file bolsceviche del partito socialdemocratico, dopo poco verrà arrestato e isolato in carcere, qui inizierà a interessarsi di letteratura e riempie quaderni di poesie, i quali gli verranno confiscati una volta uscito. Uscito dal carcere studia e si dedica alla pittura e conosce il poeta e scrittore David Burljuk, rappresentante delle avanguardie del tempo nonché “scopritore” di Majakovskij. Sarà infatti proprio Burljuk che sosterrà economicamente Majakovskij, a incoraggiarlo nella scrittura delle poesie e fargli leggere i simbolisti francesi e tedeschi, i due saranno inoltre i “creatori” del “Cubofuturismo”, massima espressione del futurismo russo, che nacque con Velimir Chlebnikov nel 1910. Una volta approdato al futurismo nel 1912 insieme a figure quali Burljuk, Kamenskij, Kručёnych e Chlebnikov, la biografia del poeta russo diventa quella di un eroe lirico, se fino al 1917 sarà Majakovskij a descrivere la sua vita da adesso, fino al suo suicidio nel 1930, saranno le poesie a parlare.

Allo scoppio del primo conflitto mondiale Majakovskij inizia a comporre l’opera “La nuvola in Calzoni”, nel 1915 conobbe i coniugi Lilja e Osip Brik, figure che cambieranno radicalmente il suo eroe lirico, Majakovskij si innamorò infatti di Lilja e si trasferì a Pietrogrado. Majakovskij ricorderà nella sua autobiografia gli anni della guerra, definiti come «tempo bruttissimo» e dovette anche arruolarsi al primo reggimento auto-motorizzato della riserva; la guerra farà acquistare all’eroe majakovskiano nuovi tratti, inoltre si complicherà la sua prospettiva psicologica e artistica. L’amore di quegli anni con Lilja, il rapporto con Dio e l’Arte, il mondo sconvolto dagli eventi bellici e dalle tensioni sociali renderanno sempre più intenso il suo vissuto, possiamo avere esempio di ciò nella sua poesia dedicata all’amore per Lilja: «Sempre più spesso mi chiedo/ se non sia meglio mettere il punto/ d’un proiettile alla mia sorte./ Oggi darò,/ in ogni caso,/ un concerto d’addio.» Un altro esempio possiamo trovarlo nel poema Guerra e universo, dove Majakovskij presenta la guerra come un male che il poeta prende su di sé, il poema presenta inoltre numerosi riferimenti religiosi tra un caos “apocalittico” e blasfemia, dove sono continui i rimandi alla passione di Cristo. Majakovskij presenta inoltre un tratto profetico nella sua poesia, Boris Pasternak dirà che «Majakovskij è un anticipatore della rivoluzione, la sognò prima ancora che arrivasse», ciò lo notiamo in una poesia scritta prima degli eventi rivoluzionari del 1917: «Nella corona di spine delle rivoluzioni/ Si avvicina l’anno 1916./ E io sono presso di voi il suo profeta…». Proprio nella rivoluzione di febbraio 1917 il poeta originario di Bagdadi partecipò direttamente alle operazioni tramite un’intensa propaganda e soprattutto grazie alla sua cronaca poetica, la quale riporta le vicende e l’atmosfera degli eventi vissuti in prima persona. Al bolscevismo e alla rivoluzione d’ottobre Majakovskij dedicò i primi versi elogiativi solo nell’autunno 1918, opere come “Ode alla rivoluzione” e “la nostra marcia” se pur scritte nel 1917 non erano elogi al bolscevismo, bensì versi dedicati all’atmosfera della rivoluzione. Majakovskij ben presto puntò a diventare il punto di riferimento della nuova arte rivoluzionaria, grazie alla creazione della “Gazzetta dei futuristi” e gli esordi nel cinema (sia da attore che da scenarista e artista cinematografico). L’opera di Majakovskij è proletaria e partitica, nella sua autobiografia scrive: «Ottobre. Aderire o non aderire? La questione non si pone per me. È la mia rivoluzione…”. Il rapporto tra la rivoluzione e il futurismo non fu però rose e fiori, sia perché Lenin nutriva per le avanguardie grande antipatia sia perché diversi futuristi ebbero all’inizio della rivoluzione una maggiore sintonia con i gruppi più radicali.

Majakovskij dopo aver fondato il Fronte sinistro delle arti, Il LEF, andò all’estero per esportare la sua arte, recandosi prima a Berlino e poi a Parigi, in entrambe le città conobbe diverse figure di spicco intellettuale e tornato a Mosca nel 1922 iniziò a scrivere il suo più grande capolavoro postrivoluzionario, il poema “Pro Eto (Di questo)”. Compito del poema era mostrare l’uomo nuovo da un punto di vista artistico, oltre a raffigurarlo nella nuova realtà socialista; contemporaneamente nacque anche il nuovo giornale del LEF dove collaboravano, oltre a Majakovskij, anche Brik, Aseev, Kušner, Arvatov e altre figure di spicco dell’avanguardia culturale russa. Il 1924, anno della morte di Vladimir Lenin, è per Majakovskij un anno ricco di lavoro propagandistico, il Majakovskij agitatore, tribuno e propagandista stava raggiungendo un successo enorme, mentre il Majakovskij lirico e sensibile, il suo eroe lirico che va contro la quotidianità e l’arrivismo era tenuto in disparte e vittima di attacchi, rimanendo così per molti esponenti della classe operaia un estraneo invadente. Gli anni successivi sono per il poeta molto difficili, il LEF non riuscirà nel suo intento poiché verrà spesso bistrattato, mentre la morte di Sergej Esenin colpirà molto Majakovskij stesso, il quale era già afflitto da diversi conflitti interiori. Negli ultimi anni della sua vita Majakovskij si concentrò principalmente sul teatro, diventato il più grande strumento di lotta politica e letteraria, sarà sempre più combattuto inoltre tra la sua attività politico-culturale e la sua vena artistica.

Il legame tra lo scrittore e la letteratura sovietica si fece sempre più difficile con notevoli atti di accusa alle sue composizioni, il 14 aprile 1930 Majakovskij si uccise con un colpo di pistola lasciando una lettera dedicata a “tutti”. Lilja Brik scrisse che «il pensiero del suicidio accompagnò Majakovskij per tutta la vita», è inoltre una figura retorica che emerge in numerose sue poesie, mentre nelle sue dichiarazioni considerava il suicidio come qualcosa che si collegasse al gusto della sfida e dell’azzardo che caratterizzava la sua vita, data anche la sua dipendenza dal gioco. La sua morte venne fosse programmata, così come quella di Kirillov nel romanzo “I demoni” di Dostoevskij, e rappresenta inoltre la massima espressione della “poetica del limite” che caratterizzò tutta la vita di Majakovskij, realizzando così quell’impulso creativo del futurismo che vedeva una continua tensione tra la vita e la trasformazione dell’arte come vita. L’élite sovietica cercò di ridimensionare l’attività di Majakovskij, fu solo grazie ai coniugi Brik, ad Aseev e a Kirsanov che questa sopravvisse; Lilja Brik scrisse una lettera a Iosif Stalin chiedendo di dare il giusto ritegno all’opera di Majakovskij e Stalin, anche lui georgiano, trasmise la lettera al capo della NKVD dicendogli di occuparsi della questione poiché Majakovskij «è stato e rimane il poeta migliore e più dotato della nostra epoca sovietica». Grazie all’intervento di Stalin l’opera di Majakovskij venne canonizzata e molte delle sue espressioni e dei suoi neologismi divennero di uso comune nella lingua russa e nella propaganda sovietica, citando Boris Pasternak «Cominciarono a imporre Majakovskij con la forza, come le patate al tempo di Caterina. Questa fu la sua seconda morte. Di essa egli è innocente.».

Il Cubofuturismo..di Enea Stella

I cubofuturisti ritenevano che ogni forma di arte prima di loro era giunta al proprio esaurimento, essi negavano tutta la letteratura del passato e la letteratura contemporanea tramite uno spirito genuinamente nichilista, si dichiararono pronti a buttar giù dal “piroscafo della contemporaneità” Puškin, Dostoevskij e Tolstoj. Secondo i cubofuturisti, la loro rivoluzione era innanzitutto una rivoluzione della forma e degli strumenti verbali e visivi dell’espressione artistica, alla base di ciò troviamo i motivi per cui essi ponevano grande attenzione alla parola e agli aspetti tecnico-formali della creazione, oltre alla spiegazione della loro vicinanza alla ricerca filologico-linguistica.

Troviamo però anche delle contraddizioni all’interno del panorama artistico cubofuturista: gli appelli alle origini nazionali della letteratura, l’interesse per il folklore nazionale, per il paganesimo slavo, per i generi minori e per l’antiestetismo della letteratura di massa; di fianco a questi temi ne troviamo altri tipici del futurismo, quali la modernità, le macchine e l’urbanizzazione.

La vera novità del cubofuturismo è però l’accento che viene posto sulla natura sinestetica della nuova letteratura, orientata in primis verso la pittura; ciò era reso esplicito nella cultura del libro futurista, dove venivano combinate la specifica resa grafica del testo poetico con un sistema di illustrazioni prive di carattere didascalico o di accompagnamento, bensì esse costituivano una parte integrante e irrinunciabile dell’espressione e del contenuto testuale.

Per quanto concerne la poesia majakovskiana, questa è la testimonianza di un nuovo metodo artistico in cui prevale la tematica urbana, filtrata da uno specifico antropomorfismo caratteristico dell’autore; troviamo l’unione di un approccio visivo con un’intonazione fortemente retorica. L’arte majakovskiana è una stretta connessione espressiva di poesia e pittura, Majakovskij si concentra sulla frattura del verso con l’obiettivo di rendere la sua poesia difficile nei tratti fonici, iconici e compositivi, inoltre rispetto ad altri futuristi come Chlebnikov e Kručëych si muoverà verso un allargamento del lessico.

Le differenze tra Futurismo Italiano e Futurismo Russo…di Enea Stella

L’Impero Russo fu uno dei primi paesi dove venne tradotto e pubblicato il “Manifesto futurista” di Filippo Tommaso Marinetti portando di fatto le due capitali dell’impero, Pietrogrado e Mosca, a diventare le “case” del futurismo russo, sorto tra il 1911 e il 1912 grazie a Natal’ja Gončarova e Michail Larionov. Nel 1914 Marinetti stesso si recò a Mosca, dove venne accolto benevolmente dai giornali e dal pubblico, ma non dai futuristi russi, soprattutto da Majakovskij, che numerose volte negarono qualsiasi legame con il futurismo italiano e cercarono anche di ostacolare la visita di Marinetti e furono vani gli appelli di quest’ultimo per unire le forze tra i futuristi dei due paesi.

La differenza sostanziale tra i due movimenti, dovute anche alle dinamiche storiche e sociali dei due paesi, la troviamo nel rifiuto dei futuristi russi nei confronti del bellicismo accompagnato da un’idea di pace e libertà sia nella sfera artistica che nella sfera politica e che portò numerosi esponenti del movimento a entrare tra le file bolsceviche durante la rivoluzione; Majakovskij criticherà Marinetti soprattutto per quanto concerne il focus che quest’ultimo metterà sull’individualismo, infatti Majakovskij cercò sempre di mettere la sua poesia e la sua arte al servizio della rivoluzione e della società russa.

Per comprendere al meglio le differenze tra i movimenti è importante distinguere le situazioni socioculturali che attraversavano l’Italia e la Russia. In Italia si stava assistendo infatti ad una forte industrializzazione, alla crescita della tecnologia e della popolazione oltre che alla diffusione della visione della città come simbolo di modernità, in Russia era presente invece completamente differente, la società russa era arretrata ed il paese affrontava gravi problemi sociali ed economici, era inoltre diffusa la povertà e l’industrializzazione che colpì il paese a cavallo tra 1800 e 1900 non fece altro che aumentare le diseguaglianze all’interno della popolazione e all’aumento delle tensioni sociali, degli scioperi e ad un’intensa agitazione politica che culminerà con la Rivoluzione del 1917. Altra differenza tra i due movimenti riguarda i temi, come scritto in precedenza il futurismo italiano era più orientato verso la celebrazione dell’individualismo, della modernità e della tecnologia mentre i futuristi russi, sebbene erano orientati anch’essi a temi inerenti la modernità, puntavano per lo più alla critica sociale, all’impegno politico, alla lotta di classe e alla ricerca di un nuovo ordine nella società a cui ci si sarebbe arrivati con il mezzo della rivoluzione e dell’azione politico.

Le differenze tra Marinetti e Majakovskij ruotano intorno alle differenze tra i due movimenti, Marinetti era noto per il suo fervente nazionalismo ed il suo patriottismo, sosteneva il militarismo e l’adesione all’ideale di una nazione italiana potente, Majakovskij invece aveva una visione più politicamente impegnata e socialmente orientata in quanto appoggiava la rivoluzione socialista; anche lo stile e i Medium artistici erano differenti, Marinetti tramite le “Parole in libertà” creava immagini e sensazioni audaci, Majakovskij oltre la poesia si occupava anche di teatro e in prima persona della propaganda politica; per quanto riguarda l’individuo Marinetti elogiava il suo eroismo, Majakovskij d’altro canto vedeva l’individuo come parte di una collettività.

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