Di Ivan Branco

Nell’era della post-post-modernità non solo si è persa la concezione di qualsiasi tipo di grandezza, che sia delle narrazioni, dei destini, degli atti, delle idee e delle volontà; ma persino della stessa percezione che noi europei possediamo di noi stessi, della nostra civiltà, della nostra società, delle nostre tradizioni e delle condizioni storico-materiali, quindi del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro, in sintesi della nostra Storia. 

E che dire delle (post-)moderne forze socialiste? Del loro asservimento allo status quo e alla loro accettazione ed esaltazione nei confronti del vuoto universale e teologico su cui vive e si sviluppa l’organismo delle nostre vite di europei e socialisti? Per il loro voler essere portatori del miscuglio, dell’indifferenziato, del misticismo ugualitario e pacifista, della morale dell’amore e della tolleranza, dell’idealismo utopico borghese finiscono per sminuire l’analisi scientifica e materialistica socioeconomica delle società industrializzate, globalizzate, capitaliste e borghesi appartenenti al primo mondo e anche delle società meno sviluppate, ma non tanto e sempre sul piano intellettuale e logico, quanto su quello dei loro impulsi e delle loro voglie (senza dunque dilungarci troppo sulla loro totale decadenza naturale): rigettare il McDonald fino a quando sarà una multinazionale, ma non il cibo spazzatura che produce; rigettare i rivenditori dell’abbigliamento di massa ma non lo shopping e il consumo compulsivo; rigettare in toto il lavoro anche quando esso è mezzo dell’esplicazione della creatività e dell’intelligenza individuale e collettiva; insomma, questi sedicenti socialisti del XXI secolo non rigettano il mondo borghese, non la sua morale, non i suoi meccanismi, ma solo questa sua attuale forma, ovvero quella liberale e capitalista. 

Ma ciò ovviamente non si rivolge esclusivamente alla sola vita economica della società, ma anche nella sua vita culturale, politica e “spirituale” (o etico-morale, che dir si voglia) e, soprattutto, quelli che potremmo definire come “social-borghesi” non sono di certo gli unici a promuovere questo tipo di orientamento nell’essenza e nella forma sociale, economica e culturale individuale e collettiva post-moderna: liberali, conservatori, abramitici, “radicali democratici” (vedasi socialisti democratici e/o socdem), anarchici, neofascisti/nazisti, tutti loro sono i (primi) fautori e i (secondi) castrati del mondo globalizzato, spoglio di ogni ordine e volontà superiore, di ogni riconoscimento fra le comunità e i soggetti (nel senso schmittiano della frase), privo di qualsiasi ragione e impulso per analizzare, smuovere e creare la Storia. 

Il continente europeo al momento si ritrova in uno stato catatonico, completamente svilito di quel senso Storico che è il soggetto/oggetto principale di questo articolo e uno dei pilastri delle filosofie continentali e anglo-americane (sia per essere elogiato sia per essere criticato): gli antichi, i razionalisti e gli empiristi, gli illuministi e i positivisti, gli idealisti e i romantici, i materialisti, i nichilisti; Eraclito, Spinoza, Hobbes, Hume, Locke, Rousseau, Voltaire, Kant, Comte, Hegel, Schelling, Fichte, Marx ed Engels, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, etc., tutti costoro (e coloro che non sono stati citati), in modi e, talvolta, anche in essenze differenti, hanno comunque dato il loro apporto e la loro visione ad una questione che, nella sapienza, nella logica, nella conoscenza, nella vitalità e nella quotidianità euro-occidentale costituisce, come già detto, una delle colonne portanti della concezione, della sensibilità e, dunque, della percezione ideale e sentimentale che l’uomo europeo ha oggi di sé, del mondo in cui abita, dei vicini che lo circondano e con cui possiede dei rapporti e, infine, della sua evoluzione nell’eterno divenire Storico delle civiltà e nell’altrettanto eterno e sfumato divenire delle singole personalità umane e del loro contributo al divenire generale del mondo intero. 

Cerchiamo però di fare anzitutto chiarezza su cosa si intende per “Senso e Coscienza della Storia”: con esso ciò che si vuole intendere riguarda sia il movimento delle volontà e, dunque, degli eventi che formano/si formano all’interno del divenire Storico e l’essenza e i modi in cui, quindi, queste stesse volontà super-individuali e super-collettive e le rispettive condizioni materiali in cui si sviluppano prendono poi un loro “modo-d’essere” e una loro particolare e generale forma; più precisamente e chiaramente, con ciò che viene definito come “volontà dei super-individui e delle super-collettività” non si tratta di certo di soggetti/oggetti che fanno appello ad una essenza divina e sovrumana, ma, più semplicemente e in termini più immanenti, si tratta (nel caso della volontà) dell’essenza che l’uomo stesso possiede in quanto detentore di caratteri generali (e condivisi con tutti gli altri uomini, come, ad esempio, le emozioni, i sensi, la ragione, le idee e gli istinti) e particolari (diversa sensibilità, intensità, profondità e acutezza di tutti i caratteri sopracitati); dunque, in cosa si distingue un uomo da un super-uomo storico e una collettività da una super-collettività storica? 

Possiamo distinguere, anche qui, dei caratteri sia particolari sia generali di tutte e quattro queste forme ed essenze che, aprendo una breve parentesi, non esistono certamente solo all’interno del processo Storico, ma si formano, costruiscono e abbattono in modo organico e, dunque, né in modo lineare né circolare ma, potremmo dire, “liberamente sferico” e in “processo di divenire”, in quell’insieme di necessità (materiali e spirituali) che formano poi le categorizzazioni in cui ogni uomo e ogni comunità racchiude i principi (provenienti da un processo immanente e rendendo la loro origine tale, dunque) del Bene e del Male e di tutti quegli elementi che ne fanno parte, ovvero quegli elementi (che hanno una loro esternazione ed evoluzione nelle credenze religiose, nella coscienza filosofica, nello spirito artistico, nelle ideologie politiche e nello sviluppo materialistico delle società) che rendono dei benefici e/o danneggiano il corpus e la “sensibilità”* dei soggetti e delle civiltà (*costituita sia da una coscienza razionale a cui appartengono le considerazioni elaborate di ogni ambito dell’intelletto e dell’animo umano; e sia da una coscienza irrazionale che, derivata sia da una componente genetica, sia da una sociale e sia da una razionale-esperienziale del soggetto, getta poi i semi delle intuizioni istintuali e naturali da cui poi germoglierà la coscienza razionale). 

Innanzitutto, poniamo a confronto altre due categorie di analisi che ci serviranno per poter definire sia la sola necessità storica di un individuo/gruppo di individui (dunque per poter definire su un piano storico cause e conseguenze del divenire di una generale e relativa soggettività e di come lo sviluppo materiale abbia portato a ciò); sia poi per poter dare una definizione del fenomeno psicologico delle soggettività (ovvero individui e comunità) non già nel loro insieme e divenire Storico ma naturalistico; in sintesi, una categoria storico-materialistica (ragione e condizioni materiali) e una psico-naturale (volontà e corpo organico). 

Partendo da ciò, la distinzione che si può fare fra le categorie di uomo/comunità storico/a e di super-uomo/super-comunità storico/a, sul piano storico-materialistico, riguardano principalmente un’altra componente molto importante in quella che abbiamo definito come coscienza razionale: la dialettica. 

In questo caso possiamo vedere la dialettica proprio come quella presa di coscienza del divenire Storico degli eventi e delle civiltà e, dunque, con ciò, anche la coscienziosità di far parte di questo stesso divenire e della sua stessa trasformazione e categorizzazione tramite la nostra parte ideale della razionalità. 

Dunque, in parole più brevi, la dialettica serve ed è insita agli/negli uomini sia per essere coscienti del divenire Storico e degli scontri fra le varie parti di tale processo e sia per quel naturale processo di formazione di categorie e di ordini razionali che consentono all’uomo di poter raccogliere gli elementi (i fatti) che la realtà gli pone dinanzi e di poterli comprendere nel loro contesto del divenire storico-materiale e ideale. 

Un semplice uomo-storico certamente ha le capacità intellettuali quantomeno adatte per poter comprendere che nel mondo che lo circonda e che si trova dentro di lui esistono degli elementi che formano questa stessa realtà Storica sia sul piano generale (come, per esempio, i conflitti, le lotte politico-ideologiche, le relazioni fra stati e civiltà etc.) e particolari (un determinato momento e carattere Storico appartenente agli atti sopracitati); ma esso non riesce a comprendere che tutti questi elementi non sono delle isolette distaccate fra di loro che, pur avendo un loro senso particolare, non detengono però un ordine generale nel mondo in cui esse divengono. 

E quindi per l’uomo-storico (sia esso più o meno impegnato politicamente, intellettualmente, culturalmente, etc.) non esistono degli “atti” della Storia, ma solo dei “momenti”; non esiste un divenire ma o una sperata progressione e fine o una cieca ciclicità, entrambe livellatrici di tutto il processo Storico poiché in entrambi i casi si preferisce adempiere (e lasciare in mano) semplicemente a una vaga e religiosa idea e volontà di un destino determinato, uccidendo e insabbiando il genio logico e creativo umano, che in una diversa prospettiva, ovvero di un divenire mai uguale e senza fine ma che possiede pur sempre degli elementi generali che possono essere colti e su cui costruire, almeno nel processo Storico, ciò che si vuole creare e, dunque, ciò che le nostre necessità richiedono; è in grado, quindi, di poter sprigionare le sue forze demoniache, prometeiche e faustiane, insomma, la sua naturale ebrezza, senza però perdere quella fredda serietà di analisi e calcolo di ogni aspetto della realtà che lo aiutino nella sua impresa dominatrice e creativa; avere il cuore d’un eterno fanciullo e la mente di un vecchio sapiente. 

Ma proprio per poter fare ciò, è anzitutto necessario, come già detto in precedenza, condurre proprio un’opera di rivitalizzazione del proprio spirito nella Storia, partendo, in primis, dalla morte e rinascita di sé stessi. 

Ed è partendo proprio da queste necessità che possiamo delineare la figura del super-uomo storico che, al contrario dell’uomo storico, non solo detiene una più acuta e profonda sensibilità etica, politica, spirituale, artistica, storica, etc., ma, anche grazie a ciò, riesce a comprendere e vivere i/nei meccanismi della Storia e, quindi, anche i/in tutti gli altri fattori da cui il percorso Storico è influenzato e che quest’ultimo influenza. 

Ciò ovviamente non significa che tali uomini siano dotati di una sorta di coscienza divina o mistica, non sono dunque esseri infallibili; e non è nemmeno detto che tutti abbiano le medesime aspirazioni e che siano portati per gli stessi ruoli: sia un condottiero, sia un filosofo o un artista possono, nei loro diversi ruoli e prospettive, avere però la medesima coscienziosità generale del divenire Storico; e dunque le principali differenze fra un Napoleone, un Hegel e un Goethe saranno presenti sulla direzione in cui essi hanno deciso di incanalare le loro forze, chi nella guida dei popoli, chi nella comprensione della realtà e chi nel viverla nel modo più sfumato. 

E qui dobbiamo anche riconoscere un altro fondamento importante per la stessa dialettica, per il divenire della Storia e per l’evoluzione e l’espressione della vita umana particolare e collettiva nelle sue altre forme: l’amoralità. 

L’assenza di una morale (e di un’etica dunque) non va qui vista come la scelta dell’uomo di agire nel mondo e sul mondo senza dei principi che guidino le sue azioni, bensì sia come assenza di una finalità morale della Storia stessa e sia, come causa, dell’inesistenza di una morale assoluta all’interno della realtà stessa; inoltre, anche gli uomini possono essere amorali, ma non già in modo assoluto bensì razionalmente e istintivamente:  

Nel primo caso è la coscienziosità della natura caotica, indeterminata e prospettica della realtà, la quale altro non è che la “sintesi” della nostra interpretazione e del nostro esperire (generale e relativa/o) con i “fatti della vita”, ovvero i fenomeni (che riguardino sia la natura in strictu sensu sia l’evoluzione dello spirito e della società umana). 

Dunque, il noumeno della realtà non è già inconoscibile, ma è l’interpretabile. 

Ma tale amoralità razionale non riguarda solo la coscienza che si ha della natura del Tutto, ma anche degli interessi di un determinato individuo, di un determinato gruppo e di una determinata civiltà; così quindi l’essere amorali diviene anche un metodo, oltre che un’”essenza”, che ha lo scopo di rendere perseguibili i fini e gli obiettivi strategici degli uomini. 

Dunque, sul piano razionale, l’amoralità ha sia un’essenza ontologica e naturalista sia una psico-sociologica e politica. 

Nel secondo caso in cui è presente l’amoralità si fa direttamente riferimento alla stessa natura umana intesa come appartenente al mondo animale e, quindi, non esente da istinti (anche in questo caso generali e particolari) che possono prendere una “forma morale” solo nella ragione e nella logica, non già nel senso stesso dell’istinto essendo esso diretta causa e conseguenza dell’irrazionalità e della biologia umana, la quale non può essere soggetta a delle restrizioni logiche e, quindi, razionali e morali (se non su un piano “superiore” a ciò che è immanente);  

Ponendo ora lo sguardo sull’analisi delle comunità e delle super-comunità storiche, i ragionamenti che potremmo fare sono abbastanza simili per quelli sugli uomini e super-uomini storici: 

Da un punto di vista storico-materialistico anche le società, dai primordi fino ai nostri giorni, hanno seguito sostanzialmente uno sviluppo basato sulle esigenze di una determinata comunità, esigenze dettate in tempi antichissimi dal solo istinto di sopravvivenza e, con l’evolversi delle società, nate anche da motivazioni più ideali e astratte, senza però che l’origine immanente di ogni cultura e morale venisse messa da parte. 

Come già detto in precedenza, non esiste alcuna moralità ed etica e né alcuna idea, cultura e stile di vita che sia oggettivamente e assolutamente superiore a qualche altra morale, cultura, etc.; ciò che esiste, almeno sul piano storico-materialistico e psico-naturale, è la necessità di ogni individuo e di ogni gruppo di dover ricercare e creare nella propria vita quelle condizioni che più aggradano la sua natura e le sue idee; di conseguenza, anche nella società gli interessi dei diversi gruppi di individui che la compongono sono creati da diverse necessità che possono o meno coincidere fra di loro. 

Dunque, qui si dovrà passare brevemente all’analisi di un’altra componente di tutto il divenire: lo scontro. 

Esso ha sia un ruolo nella natura, nel contrasto fra i suoi caratteri che la compongono e delle varie forze e volontà che, nel momento e nell’atto di volersi affermare, si confrontano fra di loro e dal loro scontro non può che nascere una sintesi (che diviene poi la nuova tesi) delle parti; ma ciò non significa che le volontà scontratesi “sopravvivano” al loro dissolversi nella sintesi, o meglio, non sempre ciò accade; dunque, nel processo dialettico vi è anche un divenire che tende a plasmare completamente dei dati soggetti/oggetti e, dunque, in uno scontro fra diverse forze alcune potrebbero uscirne come prevalenti sulle altre, senza giungere ad un equilibrio fra le tesi e le antitesi, creando così delle nuove tesi e delle nuove antitesi. 

E lo scontro possiede anche un ruolo all’interno del processo Storico e sociale: dunque non abbiamo solo la guerra come parte integrante dell’Io-soggetto e del Tutto-oggetto, ma è anche (come ben sappiamo) insita sia nell’Io-collettivo sia, poi, anche nei vari gruppi d’interesse che compongono le società umane (guerra-interna) e le civiltà (guerra-esterna). 

Senza soffermarci troppo sui meccanismi che compongono il quadro delle lotte fra i vari gruppi d’interesse (avendo già spiegato poco sopra le cause/principi del divenire dialettico), possiamo affermare che, riprendendo il discorso sul trinomio tesi-antitesi-sintesi, nelle società e civiltà tale processo dialettico parziale e/o totale si forma su e da varie basi quali: 

  • Quella psico-culturale 
  • Quella Storico-materiale 
  • Quella economico-sociale 

Gli aspetti sopracitati non variano per importanza poiché ogni singolo carattere del divenire non va considerato come un fattore né isolato né tantomeno egemone dato che già dal semplice atto che in tutto il processo evolutivo delle civiltà umane la psicologia e la cultura degli individui, il divenire degli eventi storici e delle condizioni politiche, scientifico-tecnologiche, etc. Da essi e le fondamenta sociali ed economiche di una società sono il frutto del rapporto olistico e “interessato” fra tutte le parti; ma, certamente, ciò non significa che in tutte le società queste essenze e forme generali siano uguali e che un determinato cambiamento in una società debba necessariamente presentarsi prevalentemente e contemporaneamente in tutti e tre i casi:  

Una società la cui psicologia e cultura si basano sulla totale dispersione di sé, dell’omologazione, del disturbo e della frivolezza; che si basa sugli interessi dell’usura, della menzogna e del mero potere; che si basa sul consumo sfrenato e sulla religione dell’utile; dunque, una civiltà che fa suo il detto “panem et circenses” non potrà certamente avere la medesima Volontà e Forma di una civiltà che invece punta alla liberazione delle menti, degli spiriti e dei corpi; alla Grosspolitik e ad un destino superiore autoimpostosi; all’abbattimento del decadimento materiale e dell’organizzazione meritocratica delle forze; una società che fa della (co)scienza, della libertà e bellezza dell’animo e delle carni, del progresso tecno-scientifico, del divenire attivo nella Storia e della giustizia i suoi cardini non potrà mai essere al pari nella Volontà e nella Forma ad una civiltà decadente e spensierata. 

E ciò si ripercuote ed è generato anche dalle differenti Volontà e Forze che i vari gruppi/soggetti esercitano sui caratteri generali delle civiltà:  

I borghesi, i proletari, i contadini, i politicanti, gli artisti, i filosofi, gli stranieri, etc. Avranno tutti dei distinti e, in certi casi, simili interessi nel fondare una società e civiltà a loro immagine e somiglianza (e da ciò derivano anche le lotte interne/esterne a cui accennavo sopra). 

Anche qui la già citata amoralità possiede un ruolo decisivo e naturale in tutto il divenire eterno umano. 

Cos’è quindi che noi come grandi singoli e collettività; come uomini e donne attivi e ardenti; come orgogliosi italiani ed europei; come coscienti socialisti e, in primis, rivoluzionari dovremmo fare per poter non già ridare vecchie glorie, ma creare un nuovo avvenire a grandi quantità (e qualità) di singoli, alle civiltà d’Europa, alla nostra Storia e alla Storia universale? 

Tutto ciò che ci occorre si trova già in noi e al di fuori di noi, nella nostra volontà, nella nostra coscienza, nel moto degli eventi e nelle loro condizioni e, quindi, anche nel nostro modo di saperli comprendere e sfruttare; ciò che ci serve è il rinnovo dello spirito barbaro della creazione e della lotta e la logica rivoluzionaria e scientifica, come singoli; e delle contingenze storico-materiali e della “coscienza Storica” e socioeconomica come insieme. 

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