Di Niccolò Alfieri

Lo scopo della presente disamina non è quello di mostrare in dettaglio lo sviluppo di tutto il pensiero di Federico Nietzsche, né di scandagliare ciò che è emerso come sistema filosofico dalla sua molteplice e ricca attività, ma, piuttosto, di provare a disegnare i contorni di una figura spesso sottovalutata e privata d’interiorità. Si parla infatti di un «Nietzsche aforista», di un «Nietzsche psicologo» e «poeta›», ma il «Nietzsche politico» è quasi sempre oggetto di svalutazione, di degradazione; si tratta di un processo di svilimento, nei confronti del grande pensatore tedesco, messo in atto dalla Chiesa Democratica del Filosoficamente corretto, che obliando dal suo testamento spirituale ogni elemento risolutivo, decisivo, ha ridotto il «dinamitardo» ethos nietzscheano a un tassello del «pensiero debole», dell’odierno nichilismo passivo. Che coraggiosa ironia!

Questo articolo sarà diviso in due parti: la prima dedicata al lato biografico del pensiero politico nietzscheano, la seconda all’essenza del pensiero politico di Nietzsche in sé. Però, andiamo per ordine; l’aprioristico «utilizzo ideologico-etico» di Federico Nietzsche, eventualità comparsa ad esempio nei primi tempi del secolo scorso, non tenne mai conto di una natura politica già intrinseca nella sua filosofia. Perché lui, che cercava nell’uomo la grandezza, la forza e la vita, nonché le condizioni di una gerarchia dell’esistenza e di un’ordine che ne tenessero conto, vedeva intorno a sé, in un contesto storico come quello di fine Ottocento, proprio il declino inesorabile dell’uomo e della civiltà verso la totale dissoluzione.

La vita e la negazione del suo tempo: questo è il conflitto umano, politico e intellettuale di questo pensatore ed è allo stesso tempo il segreto della sua tragica profezia sul mondo del futuro. Per poter comprendere a pieno sia la filosofia sia la politicità di Nietzsche, bisogna saper riconoscere in che tipo di ambiente storico e culturale quest’ultimo visse e maturò le sue idee: come detto, trattasi degli ultimi tempi del XIX secolo. Un’epoca di grandi speranze e, al contempo, grandi disillusioni. La ripresa nazionale dei paesi europei era affiancata dalle dinamiche movimentate della Seconda era industriale, lo sviluppo delle arti e della cultura era in sincronia con il crepuscolo degli idoli. Emergevano, in seno a questo decantato progresso economico, gravi tensioni sociali e il crollo di tutto quanto aveva dato forma a Stati e culture; guerre e rivoluzioni si intravedevano all’orizzonte. Ciò, come già fatto intendere, è imprescindibile dall’esistenza di Nietzsche: egli vedeva dietro alla modernità non solo una minaccia, ma una dura sorte. Il Vuoto, un Grande e informe Vuoto, si stagliava oltre i decrepiti valori del Nichilismo, ed egli ne temeva le conseguenze più estreme; le conseguenze della totale perdita di senso nella vita degli uomini, della totale perdita di ogni certezza e «verità». Fu colto allora da una domanda profonda: chi avrà il coraggio per «infuriare contro il morire della luce»?

Nel 1870, all’età di ventisei anni, Federico Nietzsche si arruolò nella Guerra franco-prussiana, sperando nella «Germania eroica» del Secondo Reich. In questo sogno, ben coltivato e contemplato dagli intellettuali tedeschi dell’epoca, il solitario professore vedeva niente di meno che l’antidoto all’intravisto disastroso destino della Civiltà. Studioso della Grecia classica e cultore dell’antichità, fin da subito mise su un piano di paragone l’Europa moderna e l’Antico mondo ellenico: per egli, la dissoluzione dell’autentico spirito greco (rappresentato dall’equilibrio fra Dioniso e Apollo) aveva dato inizio a un millenario ciclo storico di decadenza, di graduale involuzione, giunto al suo stadio finale col capitalismo ottocentesco.

Solo con la rinascita dello stesso spirito ellenico in Europa (e, specialmente, in Germania), dunque, questo declino della civiltà umana poteva essere arrestato, e la «clessidra della storia» reinvertita. Si avverte già una concezione, potremmo dire, «ciclica» dello sviluppo storico, un accenno all’«eterno ritorno». Ma la negazione della modernità, che è il fulcro della prima opera del filosofo, Nascita della tragedia, non ha nulla del passivo nostalgismo: non solo è una negazione battagliera, ma guarda speranzosa alla possibilità di una radicale trasformazione del presente in Europa.

Però, facciamo un passo indietro fino agli anni sessanta: diverso tempo prima della stesura di «La nascita della tragedia», un giovanissimo e brillante Nietzsche studiava a Bonn, città della Germania occidentale. Qui, come riportato in una lettera alla sorella e alla madre, lo studente si recò a rendere omaggio alla tomba di Ernst Moritz Arndt, eroe popolare della resistenza antinapoleonica tedesca.1 Il momento in cui cade questa visita è significativo: è l’ottobre 1864, imperversa la guerra combattuta al fianco dell’Austria per strappare alla Danimarca i ducati di Schleswig, Holstein e Lauenburg. La Prussia ha dato inizio al processo di unificazione dei territori germanici. Due anni dopo, alla notizia dello dichiarazione di guerra di Bismarck agli austriaci, il futuro filosofo si firma in una lettera come «granadiere prussiano», pronto a impugnare le armi.2 Segue poi con trepidazione lo svolgimento delle operazioni militari. Per lui, questo conflitto potrà «produrre in Germania un’unità spirituale».3 Come si vede, pur tendendo a qualche tono melodrammatico, il giovane Nietzsche rivela un senso robusto della realtà storica e politica. In questo momento, affine sembra essere l’identità col programma politico del cancelliere di ferro, che a Berlino ha assunto la guida del governo. Bismarck è stato il protagonista di una rivoluzione dall’alto, che sul piano internazionale vede il suo principale antagonista nella Francia di Napoleone III. Si comprende allora l’entusiasmo, culminato nel successivo conflitto franco-prussiano, espresso dal giovane Nietzsche. Ideale politico e ideale artistico qui si fondono: infatti, il professore di Basilea vede nella Germania di Wagner e Bismarck (Genio e Capo, entrambi circondati da un’aura di mito) l’epicentro di un ritorno spirituale alla grecità. Ma il conflitto a cui Nietzsche partecipa con grande entusiasmo (e con lo stesso pathos che si avverte nella sua opera prima), si dimostra tutt’altro che glorioso: non nel senso che si riveli troppo spaventoso agli occhi del pensatore, ma l’esatto opposto. Mancano l’areté, l’ardore e la potenza che Nietzsche aveva proiettato sull’Impero tedesco. La guerra non riesce a radicalizzarsi, a mutare in «atto purificatore», ad affrontare la sfida dell’Untergang della civiltà.

Il mondo moderno si dimostra inadeguato agli appetiti di grandezza del filologo prussiano. Ormai è chiaro: anche l’ordinario di Basilea, alla fine del conflitto, ha perso fiducia in ogni patriottismo. La «civiltà decadente» non sarà redenta dalla «missione tedesca». È già stato detto: siamo in tempi decisivi per lo sviluppo del capitalismo industriale e della democrazia. Anche in Germania, la borghesia, da «piccola proprietà modesta», è passata alla sua forma più parassitaria. L’utilitarismo dilaga, i profittatori crescono. Lo scontro sociale si fa più teso. E ora sparisce anche quanto vi era rimasto di aristocratico, di sublime e di fiero nel mondo moderno, lasciando spazio a ciò che vi è di più caduco, sterile, infinitamente mediocre. Ma qual è il motivo dietro al «voltafaccia» dello «spirito prussiano»? Nel momento in cui andava adempiuto dalla Germania il compito del suo tempo, cioè il dispiegamento e la costruzione della società borghese moderna, questa ha rispolverato grandi ambizioni, «frasi romane», missioni storiche e passionali miti, ma ora che questo compito è stato esaudito, tutte le leggendarie reminiscenze sono spazzate via dalla corposa concretezza del modo di produzione capitalistico. La genealogia greco-germanica, alla cui il «clero» artistico-culturale-politico si era aggrappato come modello, va quindi in crisi poiché lo stile di vita mercantile, moderno, «ebraico», «francese», si sviluppa anche – e soprattutto, si può dire – nell’«eletto» territorio prussiano, e, paradossalmente, sotto l’egida del medesimo «ideale germanico». La crisi della «Tradizione» porta Nietzsche a una rivalutazione radicale delle convinzioni del passato; gli impone non solo una rilettura in profondità della storia e della genealogia, ma anche una riesaminazione delle categorie filosofiche e politiche dapprima patrocinate.

Appunto, facciamo un paio di passi avanti fino ad Umano, troppo umano, l’opera che più di tutte rappresenta la metamorfosi nel modo di pensare del filosofo: nel suddetto libro, Nietzsche è costretto a prendere atto che è fatica sprecata voler procedere a differenziazioni interne al panorama politico europeo: nazional-liberali, conservatori, democratici e socialisti non sono poi così diversi, in quanto «il carattere demagogico e l’intenzione di influire sulle masse sono attualmente comuni a tutti i partiti politici» 4 . La massificazione non lascia scampo a nessuno. A questa sorta di informe marasmus Femininus, ormai accettato a pieno titolo dal Secondo Reich, Nietzsche guarda con ribrezzo e profonda delusione. La rottura finale con la Germania bismarckiana avverrà intorno alla seconda metà degli anni settanta, quando il capo del governo incoraggia uno sciovinismo «cieco» nel suo paese e, così facendo, anche nella rivale Francia, mentre al contempo sostiene gli ambienti clericali. L’Impero Tedesco minaccia, col suo atteggiamento, di far esplodere l’Europa in una guerra fratricida, e di «dissanguare le forze migliori di quel periodo storico».5 Nietzsche si augura l’avvento di nuovi rapporti in Europa, all’insegna dell’unità e della comunione spirituale6 , e ora, più scettico e obiettivo, si rifiuta di (ri)leggere la Guerra franco-prussiana in termini di scontro tra civiltà contrapposte. L’avversità per le «insanie nazionaliste»7 si fa più evidente, così come, nel mentre, via via spariscono gli spettri revanscisti della «grecità germanica». La critica del nazionalismo stimola allo stesso tempo nel pensatore una presa di posizione, sia filosofica che politica, per l’Illuminismo. Abbandonato il «gretto» sentimento nazionale, ecco mostrarsi una propensione maggiore verso lo sviluppo scientifico, la «liberazione del pensiero», l’incontro tra le culture e «l’entusiasmo sprezzante delle vecchie autorità»8. Il modello non è più prettamente la grecità, ma il Rinascimento. L’avversario, simbolo dei valori opposti a quelli «rinascimentali», invece si ritrova nella Riforma tedesca, «plebea e reazionaria»9, e nella sua eredità.

La lotta tout court alla modernità per il recupero delle radici antiche si può dire invece che muti, in questa fase, piuttosto in una volontà di rinnovamento e svecchiamento che possa sfaldare le basi (tutte frutto del «passatismo») della dissoluzione, del caos e del nichilismo odierno: nazionalismo vetusto, utilitarismo, socialismo, democrazia, cristianesimo, liberalismo, xenofobia, bellicismo ecc. ecc.. Nietzsche ora auspica una graduale trasformazione delle idee che possa risolvere le contraddizioni vigenti. Traspare anche il testé citato «paneuropeismo» e una forte avversione ai «dispotismi».10 Tra il 1878-80 (gli anni maggiormente contrassegnati dall’illuminismo) e il 1882, l’anno della pubblicazione della Gaia scienza, si avverte un’evoluzione continua nella visione del mondo di Nietzsche, costantemente stimolata dagli sviluppi del clima politico in Europa. Se la prima fase era contraddistinta dagli entusiasmi riposti al Secondo Reich e dalla missione «antidemocratica» e «antimoderna» da compiersi, e la seconda – «illuministica» – dall’attenuarsi del fervido «grecismo» e dall’opposizione allo sciovinismo crescente tra le nazioni europee, in quale contesto storico e politico va collocata la terza fase? Siamo agli inizi degli anni ottanta: Guglielmo I avvia una serie di riforme sociali «cristianeggianti», e, al contempo, conduce una durissima repressione nei confronti del movimento operaio in Germania. La possibilità di una «guerra sociale» intimorisce il filosofo, il quale però, distaccatosi dalla «teutomania», si augura l’«auto-decomposizione»11 del Reich.

Se c’era stata in Nietzsche una qualche affinità col liberalismo e col conservatorismo, questa va a scomparire quando in Europa i due poli della politica si dimostrano facce della stessa medaglia chiamata «mediocrizzazione democratica».

«Liberalismo – Imbestiamento dell’umanità in gregge»12

«Noi non siamo conservatori: non conserviamo nulla, non vogliamo neppure regredire in alcun passato»13

Così, anche il movimento socialista, già criticato aspramente, viene nuovamente rimproverato dal pensatore per il suo presunto velleitarismo e subalternità al «democraticismo». Emerge chiaramente lo spettro di un nuovo partito politico di cui andremo nel merito più avanti. Trascorrono gli anni. Nel marzo del 1888 muore Guglielmo I, e il trono prussiano viene ereditato da Federico III, gravemente ammalato e in fin di vita. Nietzsche segue la «politica dinastica» di quei giorni, e, alla morte prematura del nuovo imperatore tedesco, egli – come si legge in una lettera del giugno ‘88 – si «commuove». «Infine (Federico III n.d.r) era un piccolo raggio di luce di libero pensiero, l’ultima speranza per la Germania. Adesso inizia il regime Stöcker – ne traggo le conseguenze e so già che ormai la mia Volontà di potenza sarà subito confiscata in Germania».14

Al contrario del defunto Federico, Guglielmo II, imperatore di Prussia, è assai osteggiato da Nietzsche. Questi è «cristiano» e «sciovinista», parla – con ipocrisia – di «liberare i neri schiavi domestici per amore degli schiavi» e, al contempo, «diffonde il dente di drago del nazionalismo fra i popoli».15 La campagna coloniale abolizionista promossa dal Reich si presenta talvolta come crociata contro il mondo musulmano; e ciò già basta a far indignare il filosofo, che, dopo aver lodato gli «istinti aristocratici» propri del mondo islamico, pronuncia una parole d’ordine provocatoria: «Guerra senza quartiere a Roma! Pace, amicizia con l’Islam».16

Apriamo una parentesi sull’abolizionismo: vittima della carica dissacratoria del filosofo è, specie nell’ultimo periodo — tempo di espansione coloniale per l’Occidente liberale —, la presunta motivazione «umanitaria» dietro gli atti imperialistici delle potenze occidentali.17 «Parità di diritti, filantropia, amore della pace, giustizia, verità: tutte queste grandi parole hanno valore solo nella propaganda, come stendardi; non come realtà, ma come abbaglianti parole d’ordine in funzione di qualcosa del tutto diverso (anzi opposto!)».18 Questo frammento sembra criticare con largo anticipo le ideologie della guerra «filantropica» che si sono scontrate nel Novecento e quelle che continuano a compiersi ancora ai giorni nostri. Ciò ha luogo nel momento in cui il colonialismo occidentale giustifica la sua espansione come «allargamento globale della democrazia», «diffusione dei diritti umani» in territori «arretrati». Senonché, l’avanzata della «crociata umanitaria» – talora intesa nel senso letterale e cristiano del termine – va di pari passo con l’assoggettamento della popolazione indigena al lavoro più o meno coatto e persino con una vera e propria recrudescenza del lavoro servile, nonché con la disgregazione e la distruzione della cultura autoctona.

Ma questa presa di posizione di Nietzsche va contestualizzata: negli ultimi decenni dell’Ottocento, infatti, Bismarck decide di agitare anche lui la parola d’ordine dell’abolizione della schiavitù nel mondo coloniale e dell’espansione della civiltà e dei principi umanitari. Ed ecco rivolgersi a suoi collaboratori in questi termini: «Non sarebbe possibile reperire dettagli raccapriccianti su episodi di crudeltà?». Sull’onda dell’indignazione morale da essi suscitata sarebbe stato poi più agevole bandire la crociata contro le terre «barbare» e rafforzare il ruolo internazionale della Germania.19

Proseguiamo. Gli ultimi mesi di vita cosciente del filosofo vedono le problematiche del Secondo Reich avvicinarsi al punto di rottura. Le inimicizie tra Prussia e Francia, la quale ha stipulato un patto con la Russia, si inaspriscono. Si prepara la guerra su più fronti. La monarchia sociale si dimostra un fallimento; l’esercito spara sui minatori in sciopero, che quindi si accingono a organizzare una rivalsa. Si potrebbe dire che le contraddizioni della società capitalistica raggiungono, in quel momento storico, un punto critico. Il pensatore è forse spaventato da questo contesto travagliato?

No, anzi: ci sono tutti i presupposti perché una «forza superiore» possa imporre il suo comando (Befehl) nel disordine. È il momento della Grande Politica.

«Alla fine potremmo fare a meno anche delle guerre; un’opinione giusta potrebbe, in certe circostanze, già bastare. Una carrozza con sbarre di ferro per gli Hohenzollern e altri Svevi… Noi altri ci metteremo immediatamente al grandioso e sublime lavoro della vita: abbiamo ancora da organizzare tutto! Vi sono mezzi più efficaci per portare in onore la fisiologia che non i lazzaretti: io saprei fare un uso migliore dei 12 miliardi che oggi la pace armata costa all’Europa. Ma tutto questo ha fatto il suo tempo. Mi si consegni questo giovane delinquente; non esiterò a corromperlo: io stesso voglio fare divampare nel suo maledetto spirito di delinquente la fiaccola incendiaria. — Il Reich medesimo poi non è altro che una menzogna: un Hohenzollern, un Bismarck non hanno mai pensato alla Germania… Per questo, tutta la rabbia contro il prof. Geffcken… Bismarck ha preferito ricorrere alla polizia e ai tribunali riempiendosi la bocca con la parola “tedesco” . . . Io penso che alle Corti di Vienna e Pietroburgo si facciano di gran risate; tutti conoscono appunto questo compare di parvenu, che finora non ha mai detto, neppure per sbaglio, una parola assennata (e forse neppure una stupidaggine!). Costui non è davvero un uomo che pensi a conservare i Tedeschi, come afferma. Ultima considerazione — Per farla breve, anzi brevissima: dopo che il vecchio Dio è stato abolito, io sono pronto a governare il mondo . . . — condamno te ad vitam diaboli vitae Nel distruggerti, Hohenzollern, distruggo la menzogna».20 Queste parole dal tono duro, violento, polemico, sono la feroce dichiarazione di guerra del «filosofo col martello» alla Germania e alle classi dirigenti della Vecchia Europa. In questo contesto bisogna collocare l’appello di Nietzsche ai «buoni Europei» perché si uniscano in una «Lega anti-tedesca»: il bersaglio è costituito appunto dal Secondo Reich di Guglielmo II, il peggio della «decadenza europea». Per poter aver la meglio su questo «mostro» chiamato «Germania», bisognerà agire «risolutamente». Nell’ultimo tempo Nietzsche insegue la speranza che si possa mettere in moto un processo che si concluda col detronamento, la cattura ed addirittura la fucilazione di Guglielmo II. «Poiché si tratta di un colpo mortale (Vernichtungsschlag) contro il cristianesimo, è chiaro che l’unica potenza internazionale che abbia un interesse istintivo all’annientamento (Vernichtung) del cristianesimo sono gli ebrei: di conseguenza dobbiamo poter contare sulle potenze decisive di questa razza in Europa e in America; a parte tutto, tale movimento dispone delle grandi risorse di cui c’è bisogno. Qui c’è l’unico terreno naturalmente preparato per la più grande guerra e la più grande decisione della storia: il resto dei seguaci può essere preso in considerazione solo dopo aver inferto il colpo. Questa nuova potenza, che si formerà, potrebbe subito diventare la più grande potenza mondiale: supponendo che inizialmente le classi dominanti prendano posizione a favore del cristianesimo, ecco che esse vengono minacciate dalla scure già alla radice, per il fatto che tutti gli individui forti e vitali si staccheranno necessariamente da esse. Non c’è bisogno di essere psicologi per comprendere che, in tale occasione, tutte le razze spiritualmente malate sentiranno il cristianesimo come la fede propria dei dominatori e di conseguenza prenderanno posizione a favore della menzogna. Il risultato è che, a questo punto, la dinamite farà saltare in aria ogni organizzazione militare, ogni Costituzione; sicché il fronte nemico risulterà disarticolato e impreparato per la guerra. Tutto sommato, avremo al nostro fianco gli ufficiali in virtù già dei loro istinti: che sia sommamente disonorevole, vile e sudicio essere cristiani, tale giudizio risulterà inevitabilmente dalla lettura del mio Anticristo […]. Per quel che riguarda l’imperatore tedesco, so come trattare tali idioti di colore (braune Idioten); qui si misura un ufficiale ben riuscito». 21

Aggiunge: «Se cerco quali sono i miei alleati naturali, essi sono prima di tutto gli ufficiali: con l’istinto militare in corpo non si può essere cristiani — altrimenti si sarebbe falsi come cristiani e falsi come soldati». Alla luce di queste considerazioni, non ci sono dubbi sul fatto che la «lega anti tedesca» e il colpo di Stato agognati dal filosofo siano di segno eversivo, e il segno eversivo è altresì il progetto della Große Politik, del dominio della nuova casta aristocratica sul mondo travolto da una «nuova età guerriera».

Note:

  1. Epistolario 1850-1869
  2. Epistolario 1850-1869
  3. Epistolario 1850-1869
  4. Umano, troppo umano
  5. Frammenti postumi 1876-1877
  6. Il viandante e il suo cammino
  7. Umano, troppo umano
  8. Il viandante e il suo cammino
  9. Umano, troppo umano
  10. Umano, troppo umano
  11. Epistolario 1880-1884
  12. Crepuscolo degli idoli
  13. Frammenti postumi 1885-1887
  14. Epistolario 1885-1889
  15. Frammenti postumi 1888-1889
  16. L’Anticristo
  17. Nietzsche, il ribelle aristocratico (D. Losurdo)
  18. Frammenti postumi 1887-1888
  19. Nietzsche, il ribelle aristocratico (D. Losurdo)
  20. Frammenti postumi 1888-1889
  21. Epistolario 1885-1889
error: Contenuto protetto, è possibile fare richiesta per uso a info@socialismoitalico.it