Di Lorenzo Maffetti

Il precetto marxiano secondo cui «le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante», espresso ne’ “L’ideologia tedesca, si sposa meglio che mai con la società attuale. L’era di un imperialismo nella sua fase avanzata o l’era della tecnologia, che dir si voglia; entrambe le definizioni
collimano, l’una ingloba dentro di sé l’altra, senza escludersi.


Un’era, questa, in cui lo sviluppo capitalistico, principalmente dopo il crollo della potenza sovietica, ha raggiunto dei risultati tali da far presagire l’imbattibilità di questo sistema. Questo capitalismo, internazionalizzatosi a macchia d’olio nel corso del suo sviluppo, ha compiuto salti in avanti – nella sua
prospettiva – per il mantenimento del controllo planetario, vista anche la mancata πρὰξις di un blocco d’opposizione. A differenza del periodo pre-secondo conflitto mondiale – nel quale gli sfruttati erano coscienti di essere tali, riconoscendo un nemico ed una lotta comuni, e oltretutto avevano dalla loro
parte la rappresentanza di potenze quali l’URSS e la Cina -, con l’avvento del crescente sviluppo tecnologico, e – dunque – con la nascita e la crescita incessanti dei media (locali, nazionali e
internazionali), embrioni di quelli moderni, abbiamo assistito ad un rafforzamento del controllo capitalistico, che si è avvalso di strumenti di controllo psicologico. Riprendendo Marx, tornano attuali le sue parole nella prospettiva moderna: «Quanto più la classe dominante è capace di assorbire gli
elementi migliori della classe oppressa, tanto più solido e pericoloso è il suo dominio». È innegabile che, oggigiorno, il capitale abbia dalla sua parte non solo gli elementi migliori – quali possono essere imprenditori, magnati della finanza, et similia; e ancora, giornalisti, critici, economisti, politici, et
cetera, – ma anche una grande fetta di maggioranza tra le genti piccolo-borghesi e medio/alto-borghesi. Se tuttavia la maggior parte delle persone prendesse coscienza delle proprie catene e della disumanizzazione in atto, lo strapotere del capitale verrebbe spazzato via in men che non si dica, o – nello scenario più truce – assisteremo ad una repressione sanguinolenta.


Dunque, uno dei principali perni attorno al quale ruota il suo dominio, è la mancanza generale, nelle persone, di consapevolezza della povertà umana e sociale che inconsapevolmente – almeno fino ad un certo punto – condividono. Veri problemi che, pertanto, vengono deviati da falsi problemi; i quali, loro volta, vengono fatti passare, peraltro, come una necessità, un imperativo. Il problema centrale, dunque, è quello di una “civiltà” i cui componenti umani pensano di vivere in un’era in cui loro stessi, ormai
relativizzati, atomizzati, che concepiscono l’umano come un “qualcosa” che può essere, senza problemi, altro-da-sé, debbano conseguire la propria emancipazione nel poter essere tutto ciò che vogliono. Ma il concetto di emancipazione è, nell’immaginario collettivo, volutamente distorto. In queste condizioni, e con queste concezioni, non vi sarà alcuna emancipazione, dacché, per emanciparsi, l’individuo deve
rompere le catene dell’alienazione (disumanizzazione) capitalistica, e non perseguire una “emancipazione” svuotata della socialità e dell’umanità, in quanto altra forma di alienazione che non emanciperebbe, ma atomizzerebbe ancora di più l’umano.


Quella moderna è ancora più spinosa e radicata, poiché evoluzione – sempre più reificante – delle precedenti; senza dubbio, molto più difficile da combattere. Ciò perché «il tutto
è ben mascherato dal tecno-capitalismo dominante/egemone, posto che nessuno si ribella, nessuno
cerca alternative» e «nascosto in nome di una libertà assoluta dell’individuo: il massimo di (apparente) libertà e creatività individuale per produrre il massimo di (concretissima) alienazione/reificazione e mercificazione dell’individuo» (1). Questi, a nostro avviso, alcuni dei fattori più importanti per via
dei quali l’individuo, generalmente, non prende coscienza della propria alienazione, quantunque – altro elemento velenoso – una grossa fetta del Web proponga soluzioni etiche, venate di capitalismo digitale, agli imprenditori, illudendo sé stessi e chi li segue di distinguersi. Ora veniamo ad un po’ di
dati statistici: un articolo dell’11 febbraio 2016 (2) riporta che è «difficile vedere un teenager senza telefonino in mano. E ora la conferma arriva da un’indagine, secondo cui tra selfie e social i nostri figli passano in media 7 ore al giorno sul web, ma c’è anche chi arriva a 13 ore». Delle persone soggette a
questo esperimento sociale, «il 95% […] ha almeno un profilo sui social network, fino alla gestione parallela di 5-6 profili e di 2-3 App di messaggistica istantanea.[…] I giovani infatti dichiarano di passare in media 7 ore della loro giornata con lo smartphone in mano, fino a un massimo di 13 ore extrascolastiche.

E il 71,5% lo utilizza anche durante l’orario scolastico. Questi adolescenti tengono a portata di mano il
telefono quasi tutto il giorno e il 12%, oltre un ragazzo su 10, si sveglia durante la notte per leggere le notifiche e i messaggi»; e ancora «Il 94% utilizza Internet per parlare con gli amici, il 58% per noia, il 56% per studiare, il 69% per guardare film in streaming e ascoltare musica, il 44% per giocare online, il 24%
per guardare i siti porno e il 6,4% per il sexting». I dati riportati sono esemplificativi, ma pur sempre frutto del suddetto esperimento; è bene, dunque, avere uno sguardo più generale piuttosto che concernente una sola, piccola fetta di adolescenti. Un articolo-ricerca del 16 maggio 2022 (3), prendendo in esame un campione di un milione di persone, da giovani di 16 anni fino ad adulti di 64 anni, mostra che «passiamo ogni giorno 6 ore e 58 minuti collegati a internet, cioè oltre il 40% del tempo che stiamo svegli. Il tempo passato online è continuato a crescere per tutto il 2021 di circa 4 minuti al giorno: il numero totale delle ore che passeremo online nel 2022 è spaventosamente enorme, ed è quantificato in 12,5 trilioni di ore», nel nostro paese «si rispetta la media mondiale, con 6,09 ore al giorno passate su internet».


Percentuali indicative dell’indice di utenti che navigano il mondo del web. Da queste stime, non ne deriva un attacco alla tecnologia moderna, in particolare al mondo del Web. Esso, in realtà, ha aperto le porte a strumenti utilissimi, ad esempio per la conoscenza, tramite la possibilità di poter reperire in rete articoli, video, libri, ecc. di ogni genere, e di poterli acquistare o vendere; il problema – come si vedrà meglio – risiede nella dominazione dell’essere umano dalle sue stesse creazioni, frutto tanto della classe egemone quanto dell’incapacità odierna di controllarsi e liberarsi, individualmente e collettivamente, da quella che Carlo Marx chiamerebbe “auto-estraniazione”. Uno scritto di “la Repubblica” risalente al 4 maggio 2015 (4), quantifica i giovani che fanno uso di siti pornografici: «I dati sono dell’Università di Padova: il 78% dei
giovani è un fruitore abituale di siti pornografici anche se le modalità di collegamento variano da qualche volta al mese (29%) a più volte a settimana (63%), ogni giorno o più volte al giorno (8%), con una permanenza nei siti in media di 20-30 minuti». In più, «dall’analisi dei dati emerge che rispetto al
2004 è fortemente incrementata la frequentazione dei siti porno da parte dei giovani, raggiungendo una percentuale di circa il 70 % di coloro che si collegano più volte a settimana, fino ad ogni giorno, con permanenza di questi siti di oltre trenta minuti a collegamento». Venendo a dati più recenti,
risalenti al luglio 2021 (5), «a livello globale il 30% dei bambini fra gli 11 e i 12 anni vede pornografia online. In Italia il 44% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni».

Sempre nel Bel Paese, «il sito più frequentato è Pornhub, con 20 milioni di visitatori unici
al mese, di cui il 16% dichiara un’età tra i 18 e i 24 anni». Ancora più grave è ciò che risulta dai suddetti, ossia che «se il sesso della pornografia online è percepito come realistico, sale anche la convinzione che il sesso occasionale sia più normale di quello all’interno di una relazione stabile». Non banalmente, il monopolio della pornografia è in mano all’azienda MindGeek con sede il Lussemburgo, la quale «ha
più di 100 milioni di visitatori al giorno, ed è tra i 10 principali consumatori di banda» (6).


Dopo l’esposizione di questi dati è inconfutabile che la società capitalistica, oltre ad essere veicolo di psicologia egoistica, induca l’uomo all’alienazione di sé e del suo essere-sociale, caratteristica vitale dell’essere-umano in quanto tale.


A tutti gli effetti si potrebbe constatare che da molti anni a questa parte il capitalismo si sia eretto a “religione” (vocabolo utilizzato convenzionalmente), con una sua specifica “Bibbia” – non più sotto forma di libro sacro ed intoccabile, ma di slogan, lamenti, piagnistei -, con i suoi chierici – i banchieri – e con i
suoi preti proselitisti – intellettuali e media in genere.
Ma non privando il termine “religione” del suo reale significato, nei modi il capitalismo vi assomiglia. E l’assunto che vede la religione come «oppio dei popoli», calza a pennello con le nostre vedute sulla società moderna. Nulla di più, in ultima istanza, sembra far coincidere la consapevolezza che dall’alienazione economica dell’individuo, ne discenda quella “religiosa”, che oggi chiameremmo
“moderna”.

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