Di Lorenzo Maffetti

Illustrazione tratta da Limes

Come mostrato dalla cartina1, nel Kosovo, regione a maggioranza albanese, l’etnia serba predomina nella parte settentrionale, al confine con la propria terra d’appartenenza.
Per la precisione, stando ad un censimento del 2017, “il Kosovo registra una popolazione pari a 1.831.000 abitanti. Etnicamente la popolazione è divisa tra albanesi, che costituiscono quasi la totalità degli abitanti (92,9%), bosgnacchi (1,6%), serbi (1,5%) e il restante 4% è suddiviso tra rom, gorani e turchi”2.


Negli ultimi mesi del 2022 la minoranza serba è tornata a gran voce a farsi sentire nella regione di Mitrovica, erigendo barricate e mettendo in atto delle proteste (come, ad exemplum, le dimissioni di 600 serbi dalle istituzioni kosovare) contro il pugno di ferro adottato da Pristina (capitale del Kosovo) a danno dei Serbi etnici che abitano al confine con la Serbia. Questa, però, è solo la punta dell’iceberg delle nuove tensioni tra i due stati, riprese (perché mai terminate finanche dopo la guerra jugoslava) a partire da questa estate. Le proteste dei serbi sono iniziate alla fine di luglio 2022, dopo che il governo kosovaro aveva promulgato una legge sul cambio di targa delle auto serbe in Kosovo: infatti i proprietari serbi
avrebbero dovuto cambiare la dicitura della propria auto, passando da quella prevista per la Serbia a “RKS”, indicante la Repubblica del Kosovo. La risposta dei serbi non è tardata ad arrivare: infatti sono state erette delle barricate che hanno chiuso la strada per i valichi di frontiera di Brnjak e Jarinje. I leader dei due paesi non si sono fatti mancare dichiarazioni a caldo: da un lato Albin Kurti, in una intervista a “La Repubblica”, ha insistito sul fatto che la Serbia, definita vassallo di Mosca, sia stata guidata da Vladimir Putin nell’inizio delle escalation al confine con il Kosovo, nella convinzione che il Cremlino avrebbe tutto
l’interesse di far scoppiare un conflitto armato nei balcani.


Riportiamo alcuni estratti specifici delle dichiarazioni: “Il rischio del conflitto non è «altissimo», precisa, «anche perché qui abbiamo il contingente Nato, ma sicuramente alto. Siamo una democrazia che confina con un’autocrazia, del resto. Prima dell’invasione dell’Ucraina le possibilità erano poche, ora la situazione è cambiata. Il primo episodio, conseguenza dell’idea fascista di panslavismo che il Cremlino ha, è stato l’Ucraina. Se avremo un secondo episodio, ad esempio in Transnistria, allora le probabilità che una terza guerra si sviluppi nei Balcani occidentali, e in Kosovo in particolare, saranno altissime».
Kurti spiega che è Mosca a comandare Belgrado nel rapporto col Kosovo. «Il 25 novembre scorso il premier serbo Vucic era a Sochi: era il diciannovesimo incontro con Putin in dieci anni, in media si vedono
due volte all’anno», racconta. «Non è normale per dei leader di governo. In quell’occasione Vucic ha poi detto: “Abbiamo parlato di doppi standard e delle ipocrisie nelle relazioni internazionali. Putin ne è consapevole. Io gli ho mostrato il Nord del Kosovo sulla mappa”».
Ha aggiunto: «Lo scorso anno hanno pianificato 91 esercitazioni militari congiunte e ne hanno fatte 104. Le due più importanti si chiamano ScudoSlavo e Fratellanza Slava. Dall’agosto del 2001 la Serbia ha installato attorno al Kosovo 48 basi operative avanzate, 28 dell’esercito e 20 della gendarmeria. I veterani serbi sono diventati tutti pro-Russia. Come dire: il pericolo c’è e lo avvertiamo».3


Dall’altro lato, il giornalista Vladimir Volcic tenta di far luce sulla questione, dicendo che: “Per aumentare la tensione Kurti, oltre alla polizia, usa gruppi radicali e neonazisti legati alla mafia albanese kosovara e aventi legami con il movimento neonazista europeo ed ucraino, che stanno aumentando gli atti di violenza contro la minoranza serba.”. Aggiunge, inoltre, che “Il Kosovo è debitore verso la NATO che gli
ha permesso di vincere la guerra nel 1999 tramite un intervento militare diretto contro la Serbia. Questo dovrebbe bastare per sottomettersi alla volontà della UE di abbassare i toni e trovare un accordo con la minoranza serba e con Belgrado, orientato verso la convivenza delle due comunità e per evitare un altro conflitto. Al contrario Kurti sta applicando la strategia di Zelensky (con cui è in stretto contatto giornaliero) per creare maggiori tensioni e far scoppiare il conflitto che coinvolgerebbe direttamente le truppe italiane del contingente NATO in Kosovo, KFOR.”4

Il Presidente della Serbia, Vucic, intento a difendere la “sua” minoranza, afferma che “Non ci saranno code di rifugiati e salveremo il nostro popolo dalle persecuzioni e dai pogrom. Difenderemo la minoranza serba, se non vuole farlo la Nato e se non vuole farlo la forza di pace del Kosovo (KFOR)”.5
Sebbene la retorica dei due leader fosse molto incendiaria, perché basata su l’accusa, reciproca, di aver dato vita alle tensioni, l’Unione Europea, sempre nel mese di agosto, con una riunione separata tra il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, e i presidenti dei due paesi coinvolti, ha fatto capire ad entrambi che non dovranno esserci escalation militari tra Serbia e Kosovo tali da generare un conflitto nel cuore dell’Europa. Il 27 agosto, Josep Borrell, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, ha annunciato il raggiungimento di un primo piano di accordi, al fine di evitare nuove tensioni:
“[Borrell, ndr] ha acconsentito ad abolire i documenti di entrata e di uscita per i possessori di un documento d’identità kosovaro, e il Kosovo ha deciso di non introdurli per chi ha un documento d’identità serbo» e che quindi «i serbi del Kosovo così come tutti gli altri cittadini potranno viaggiare liberamente tra Kosovo e Serbia con i loro documenti d’identità”.6


Nonostante l’accordo raggiunto sui documenti di identità, alcuni problemi irrisolti restano aperti, principalmente quello delle targhe, la cui entrata in vigore con valore di legge, sotto richiesta della NATO e dell’Unione Europea, era stata rinviata al primo novembre. Il 5 novembre, a seguito di questa legge, circa 500 serbi – tra i quali possiamo trovare “i deputati serbo kosovari del partito Srpska Lista, 300 poliziotti, diversi sindaci serbo kosovari”7 – si sono dimessi dalle istituzioni kosovare in segno di protesta.
Oltre alle dimissioni, nella regione di Mitrovica si sono susseguite imponenti manifestazioni dei Serbi a sostegno di un serbo licenziato per essersi rifiutato di cambiare acronimo sulla targa. Come accadde per le tensioni di luglio-agosto, a fare da mediatore tra i due paesi è stato Josep Borrell, che il 23 novembre
è riuscito a conseguire un accordo tra i due paesi: “L’accordo prevede che il Kosovo sospenda immediatamente l’obbligo per i kosovari di etnia serba di usare targhe automobilistiche kosovare, al
posto di quelle serbe usate finora; a sua volta il governo della Serbia non rinnoverà le licenze delle targhe serbe usate dalla popolazione kosovara di etnia serba e non ne emetterà più di nuove.”.8

Ma tra i due paesi pare non esistere la pace, e il governo di Pristina ha aizzato il fuoco indicendo delle elezioni anticipate al 18 dicembre nei comuni di Zubin Potok, Zvecan, Leposavic e Mitrovica nord, ove i funzionari serbi si erano dimessi il mese precedente per protesta. Aggiunte a ciò, l’arrivo sospetto di 300
uomini della “Polizia Speciale Kosovara” nella regione di Mitrovica (arrivo giustificato da Albin Kurti, il quale ha asserito che questo contingente avesse “l’obiettivo di garantire la sicurezza di tutti i residenti, indipendentemente dall’etnia, contro la criminalità diffusa e le minacce all’ordine pubblico”9), l’arresto di
un ex-agente di polizia serbo e l’azione di una “delegazione della Commissione elettorale municipale di Zubin Potok che, scortata dalla polizia del Kosovo e dalle forze speciali della ROSU (Regional Operation Support Unit), hanno fatto irruzione nell’edificio dell’amministrazione in cerca delle liste elettorali”10 , ecco che sono state erette nuove barricate e l’escalation è tornata a farsi sentire.


Il 29 dicembre il Presidente della Serbia Vucic – dopo un appello alla de-escalation proveniente da Usa e NATO – ha ordinato di rimuovere le barriere, ricevendo in cambio la conferma che i manifestanti serbi non sarebbero stati arrestati. Il giorno dopo sempre il presidente Vucic, a seguito di un colloquio con Pristina, ha fatto rimuovere le barricate dei suoi connazionali in Kosovo, sedando così le manifestazioni al fine di
evitare un conflitto armato nei Balcani. Da quel momento fino ad oggi le tensioni sembrano essersi notevolmente placate, nonostante alcune proteste di inizio mese (2-3 febbraio) guidate dalla minoranza serba nel nord del Kosovo a seguito di alcuni espropri autorizzati da Albin Kurti a danno dei serbi etnici; espropri giustificati dalla costruzione di alcune opere pubbliche nelle zone interessate. Ciononostante, le
manifestazioni indette dai serbi sono state pacifiche. In conclusione, le tensioni tra le due nazioni possono dirsi concluse e rinviate a posteriori? In tal sede, crediamo non sia possibile rispondere positivamente a questa domanda, perché le forze in gioco – Serbia e Kosovo, con tutte le implicazioni del caso, come le rivendicazioni etno-territoriali da parte serba e la volontà, da parte kosovara, di integrarsi nell’Unione Europea – non sono disposte a mollare la presa e questo assunto si trova nelle dichiarazioni dei due leader lungo tutto il corso delle tensioni. È ancora da chiarire il ruolo della Serbia rispetto all’Unione Europea e alla situazione russo-ucraina, anche se appare fuor di dubbio che Vucic parteggi per Putin (o solo per la Russia) e Kurti stia dalla parte di Zelensky e dell’Europa.

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